(Roma, 31 ottobre 2024). Parla il presidente esecutivo del più grande partito del Paese dei Cedri
«Hezbollah può restare un partito politico. Ma deve smantellare la sua milizia. Ed interrompere la cooperazione militare con l’Iran». Nel tratteggiare il futuro del Libano, Samir Geagea è più pragmatico di quanto ci si aspetterebbe da un uomo come lui, da sempre nemico del Partito di Dio. Se c’è un leader libanese che in questi mesi è sotto la lente di tanti Governi, perfino di Israele, è senz’altro lui. Cristiano maronita, 72 anni, Geagea è stato uno dei più noti signori della Guerra civile del 1975-1990. Oggi è presidente esecutivo del più grande partito del Paese dei Cedri: le Forze libanesi. Essere ricevuti nella sua villa fortezza a Maraab, su di un monte che sovrasta Beirut, significa sottoporsi a una serie di meticolosi controlli. Quasi a suggerire il precario equilibrio in cui versa ancora oggi il Paese dei Cedri.
Mr Geagea, esiste soluzione fattibile per porre fine al conflitto ?
C’è sempre una soluzione. Sfortunatamente ci troviamo di fronte a due ordini di problemi. Da un lato c’è la guerra tra Israele e Hezbollah, e i danni che ne derivano sul fronte interno. Dall’altro, i problemi con cui conviviamo in Libano ormai da 30/40 anni. Ritengo che oggi la priorità sia fermare la guerra e raggiungere un cessate il fuoco. Ma non basta invocarlo. Sono mesi che il nostro premier continua a chiederlo. C’è una sola strada per raggiungere questo obiettivo: il Governo libanese deve dichiarare con forza che si impegnerà ad attuare le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza numero 1.559 (che prevede il disarmo di tutte le milizie, ndr), 1.680 e 1.701 (che prevede invece il ritiro delle forze di Hezbollah al di là del fiume Litani).
Tutto parte da questo punto. C’è tuttavia una via migliore: eleggere il nuovo presidente. In Libano oggi non c’è uno vero Stato. Da due anni siamo senza presidente e con un Governo ad interim. Abbiamo bisogno di un presidente che si impegni a implementare le risoluzioni Onu. È il solo modo per raggiungere un cessate il fuoco. Il resto viene dopo.
Perché non siete ancora riusciti ad eleggere il capo di Stato ?
Perché l’Asse della Resistenza (da Hezbollah all’Iran) non accetta vere elezioni. Vogliono partecipare a una sessione elettorale solo se sapranno prima chi sarà nominato presidente. Non avendo la maggioranza in Parlamento, non possono imporre il loro candidato. Ne avevano uno, Frangieh Suleiman. Hanno cercato di imporlo. Non ci sono riusciti. Allora hanno paralizzato l’elezione.
Quando finirà la guerra considererete Hezbollah un partito politico ?
Hezbollah ha un grande seguito all’interno della comunità sciita del Libano. Rispettiamo questo fatto. Quindi può facilmente continuare ad operare come partito, può mantenere anche i legami politici con l’Iran, così come noi abbiamo i nostri con i nostri amici: Europa, Italia, Arabia Saudita e altri Paesi arabi. Ma non possono essere un attore politico e al contempo un gruppo militare indipendente al di fuori dello Stato.
Gli sfollati libanesi sono più di un milione. Come si può affrontare questa emergenza ?
È un grosso problema, con cui abbiamo convissuto nel 2006 . I libanesi sono abituati ad abbandonare i propri villaggi per poi tornare appena possibile. La maggior parte degli sfollati vuole tornare nei propri villaggi. Anche se le case sono distrutte. In principio anche con delle tendopoli, per ricominciare a vivere. Non è questo il problema principale. Il vero problema è la ricostruzione.
Si preannuncia colossale…
Fortunatamente il Libano ha molti Paesi amici, soprattutto nel mondo arabo. Ma i Paesi arabi hanno distolto lo sguardo dal Libano. Non c’è alcuno Stato con cui confrontarsi. Le decisioni vengono assunte al di fuori delle istituzioni a causa degli Hezbollah. Per questo hanno paura. Anche la maggior parte dei nostri amici occidentali ha lasciato il Libano. Se avremo un presidente, deciso a ristabilire lo stato di diritto in Libano, penso che la ricostruzione non sarà un ostacolo. Pochi giorni fa siamo riusciti a raccogliere un miliardo di dollari solo di aiuti. Una cosa però è raccogliere fondi, un’altra gestirli in modo corretto quando arriveranno. Ed ecco che entra in gioco la corruzione.
In che modo le divisioni confessionali hanno alimentato questo fenomeno pervasivo ?
Non è stato, e non è, un problema di spartizioni confessionali. Occorre tuttavia considerare che negli ultimi 20 anni gli Hezbollah non hanno avuto la maggioranza nel Paese. Avevano una grande milizia, questo sì. Ma una grande milizia fa la guerra, non la politica. Quindi, per avere la maggioranza, hanno stretto alleanze con le parti più corrotte del Paese. Da 15 anni siamo governati da un’alleanza tra armi e corruzione. Bisogna cambiare passo. Altrimenti restiamo nel punto in cui siamo oggi.
Già prima della guerra, il Libano stava attraversando una gravissima crisi economica. Esistono riforme strutturali, per quanto dolorose, in grado di rimettere in piedi l’economia ?
Non abbiamo bisogno di riforme dolorose, ma solo di riforme. Per esempio, negli ultimi 4-5 anni abbiamo avuto un deficit di bilancio annuo di 4-5 miliardi di dollari. Si tratta delle perdite accumulate alla fine dei dieci anni precedenti. Ma se consideriamo che ogni anno il solo contrabbando tra Libano e Siria vale almeno un miliardo; che il settore elettrico genera perdite per due miliardi, solo perché il partito che controllava il Ministero era alleato di Hezbollah. E se consideriamo che l’evasione fiscale inghiotte altri due miliardi. Ecco che, solo con queste “riforme non dolorose”, si possono raccogliere 5 miliardi di dollari. Dal 2019 abbiamo avuto un collasso dell’economia. Nel 2022, tuttavia, l’economia ha ripreso a crescere. Nel 2023 stava mostrando buoni risultati. Poi è arrivata la guerra.
Vi sono voci di tensioni con tra il partito Kataëb e le Forze Libanesi. Come sono oggi le vostre relazioni ?
Non bisogna prestare ascolto a chi parla di presunti, grandi problemi. E’ falso! Abbiamo con loro delle divergenze non rilevanti. Loro sono un partito politico, così come lo siamo noi. Combattiamo sullo stesso terreno. Possiamo dire che non sono i nostri amici più vicini, ma sono comunque amici in politica. Diciamo che sono come vicini di casa. Nulla di più.
Il leader dell’opposizione israeliana ed ex primo ministro Yair Lapid ha chiesto il ripristino dell’Esercito del Libano del Sud (SLA), una forza per procura che ha aiutato l’esercito israeliano ad occupare il Libano meridionale negli anni ’80-‘90. Cosa ne pensa ?
Non è affatto una soluzione. Ciò che accadde 30 anni fa, è ormai parte del passato. Non c’è la stessa situazione di allora. Quindi no, non è affatto una soluzione. Lo sono invece il dispiegamento dell’esercito libanese nel Sud del Libano e la creazione di un vero Stato.
Si parla tanto di sfollati siriani e di civili libanesi. Ma in caso di un accordo di pace, può essere risolta anche la spinosa questione dei 300mila rifugiati palestinesi presenti in Libano.
Certo che può essere risolto. Una volta stabilito un vero Stato in Libano, tutto potrà essere risolto. Un giorno o l’altro, quando la soluzione dei due Stati (palestinese e israeliano, ndr), sarà raggiunta, i rifugiati potranno tornare nel loro Stato. Nel frattempo, l’Alto commissariato per i rifugiati dell’Onu si prenderà cura di loro. Contrariamente a quanto si pensi, i rifugiati palestinesi non sono un problema senza soluzione.
Da oltre 10 anni in Libano vi sono più di un milione di rifugiati siriani. Quasi il 20% della popolazione. La loro presenza ha generato tensioni sociali e grava sui conti pubblici. Quale è il vostro orientamento ?
Sono ormai quasi tre anni che facciamo pressioni, soprattutto con l’Unione Europea. Abbiamo chiesto ai Paesi Ue di non concedere ai siriani che vivono in Libano lo status di rifugiati. Anche perché non sono più rifugiati. Al di là di piccoli focolai sparsi nel Paese ed in prossimità dei confini, non c’è più la guerra nel nord della Siria. I fondi che l’Unione Europea destina ai rifugiati siriani li spingono a restare in Libano. Nessuno chiede loro di andarsene. Sarebbe una loro decisione. Ma desidero fare una precisazione. Quando è iniziata la guerra nel Sud del Libano, almeno 300.000/400.000 rifugiati sono tornati in Siria. Questo significa che non è così pericoloso per loro tornare indietro.
Le tensioni confessionali tra rifugiati sciiti e residenti cristiani e sunniti stanno iniziando a generare instabilità. Potrebbero innescare un conflitto civile ?
Tutto ciò può portare ad un clima di instabilità, soprattutto da un punto di vista psicologico, ma non a una nuova guerra civile. Si dice che per ballare il tango bisogna essere in due. Io non vedo due o più attori in Libano che vogliano ballare il tango della guerra civile. Senza dubbio la gente sta mostrando paura di essere coinvolta in raid mirati contro membri di Hezbollah nascosti tra i civili. Dobbiamo cercare di allentarle. Noi tutti.
Di Roberto Bongiorni. (Il Sole 24 ore)