(Roma, 09 ottobre 2024). Benjamin Netanyahu da una parte, Joe Biden e Kamala Harris dall’altra. L’attesa telefonata tra il vertice di Tel Aviv e quello della Casa Bianca è arrivata mentre Israele espande le operazioni in Libano e prepara la sua rappresaglia contro l’Iran dopo l’attacco missilistico della scorsa settimana. Cinquanta minuti per riannodare i fili del dialogo nella prima conversazione telefonica tra i due leader in quasi due mesi durante i quali non sono mancati tensioni e momenti di gelo. Alla conversazione ha partecipato anche Harris in una ideale, almeno così spera Biden, staffetta in vista delle presidenziali di novembre. Al centro della telefonata, secondo i media israeliani, la crisi in Libano ma, soprattutto, i termini della risposta l’Iran. Netanyahu ne aveva parlato già in una riunione fiume con i vertici della sicurezza israeliana nella quale – ha riferito un funzionario dello Stato ebraico – avrebbe preso decisioni chiave. Per ora l’attenzione sarebbe rivolta sulle strutture militari iraniane ma – ha precisato la fonte – la situazione potrebbe cambiare. « L’attacco iraniano è stato aggressivo ma impreciso. Il nostro attacco, invece, sarà mortale, preciso e soprattutto sorprendente », ha avvertito il ministro israeliano della Difesa, Yoav Gallant.
Mentre studia la sua ritorsione contro la Repubblica islamica, Israele continua a colpire nel sud del Libano con l’obiettivo di indebolire Hezbollah, tra i principali alleati di Teheran nella regione. L’operazione di terra nel sud del ‘Paese dei cedri’ si è espansa negli ultimi giorni con l’invio dei primi riservisti. Il gruppo libanese ha riferito di aver aperto il fuoco contro i soldati israeliani che tentavano di « infiltrarsi in Libano » a Labouneh, lanciando una « grande » raffica di razzi contro un’unità di fanteria e di aver usato missili e artiglieria contro le truppe israeliane che stavano « cercando di avanzare su Mais al-Jabal, da diverse posizioni ». Hezbollah ha fatto poi piovere decine di razzi contro il nord di Israele: a Kiryat Shmona l’attacco ha provocato due morti, un uomo e una donna. I miliziani hanno rivendicato, sostenendo di aver preso di mira un “raduno di forze nemiche israeliane” nella città. Ma per i media israeliani le vittime sarebbero due civili che stavano passeggiando con i propri cani. Ad Haifa cinque persone sono rimaste ferite a causa delle schegge sprigionate dalle esplosioni, mentre contro l’Alta Galilea sono stati lanciati circa 90 razzi che hanno causato danni e incendi.
L’Idf, da parte sua, continua a martellare il sud del Libano con i raid aerei; uno di questi – ha spiegato il ministero della Sanità di Beirut – ha colpito un hotel trasformato in rifugio per sfollati a Wardaniyeh, uccidendo quattro persone. Ma l’intensificarsi delle operazioni in Libano, secondo Mosca, non sta però raggiungendo i risultati sperati da Israele. “Secondo le nostre stime, il partito sciita Hezbollah, compresa la sua ala militare, non ha perso il controllo e mostra anche organizzazione”, ha osservato la portavoce del ministero russo degli Esteri Maria Zakharova. C’è poi il fronte sud della guerra: l’Idf ha rafforzato l’offensiva nel nord di Gaza dove, secondo l’Unrwa, “almeno 400mila persone sono intrappolate”. E dove si troverebbero anche gli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas. La possibilità di mettere in pericolo i rapiti ha spinto 130 militari dell’Idf a minacciare di non combattere più nell’enclave. « Continuare la guerra a Gaza non solo ritarda il ritorno degli ostaggi, ma mette anche in pericolo le loro vite », hanno affermato in una lettera a Netanyahu e al ministro della Difesa, Yoav Gallant. « Se il governo non cambia immediatamente rotta e non si adopera per raggiungere un accordo per riportare a casa gli ostaggi, non saremo in grado di continuare a prestare servizio », hanno avvertito.