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F-35 sui terminal petroliferi o attacchi cyber agli impianti nucleari. Gli scenari della risposta di Israele all’Iran

(Roma, 08 ottobre 2024). Dopo l’attacco iraniano a Israele del primo ottobre 2024, attuato con lanci di missili balistici (circa 200) come rappresaglia per l’avvio dell’operazione di terra israeliana in Libano volta a neutralizzare le capacità offensive di Hezbollah, si attende la risposta di Tel Aviv, che ha preannunciato un’azione di “contro-rappresaglia” già all’indomani dell’attacco iraniano.

Sebbene Israele, secondo chi scrive, stia cercando di alzare il livello dell’escalation in Medio Oriente in modo da provocare l’intervento statunitense contro l’Iran, difficilmente Washington si lascerà trascinare in un conflitto aperto con gli ayatollah, che nessuna delle parti in causa desidera (ovviamente per motivi diversi). Bisogna quindi considerare che gli Stati Uniti potrebbero molto facilmente non dare il proprio nulla osta ad azioni israeliane in territorio iraniano particolarmente incisive, appunto nel timore di trovarsi invischiati in una guerra aperta che, in questo periodo storico, non vogliono e non si possono permettere.

Una sana dose di realismo supportata da evidenze storiche impone però che vengano considerati tutti gli scenari per la possibile reazione israeliana, anche quelli più improbabili o peggiori.

Bisogna però innanzitutto inquadrare il teatro dal punto di vista geografico, per escludere a priori alcune possibilità di attacco: Israele e Iran non sono due Paesi confinanti, e non sono nemmeno bagnati dallo stesso mare pertanto qualsiasi azione terrestre è da escludersi e qualsiasi azione di tipo navale è scarsamente probabile (considerando l’utilizzo dei soli sottomarini classe Dolphin che potrebbero lanciare missili da crociera tipo Popeye).

Un attacco israeliano potrebbe quindi configurarsi come una risposta cinetica nel dominio aereo oppure non cinetica nel dominio cyber.

Nel primo caso Israele avrebbe davanti a sé due opzioni: una prima usando lo strumento missilistico (vettori balistici tipo Jericho 2 e 3), una seconda utilizzando munizionamento standoff lanciato da cacciabombardieri (missili da crociera / bombe plananti guidate).

Entrambe le opzioni, percorribili, meritano una puntualizzazione.

Un attacco missilistico non richiederebbe il permesso di sorvolo da parte degli Stati confinanti, ma avrebbe un impatto mediatico elevato e comporterebbe un aggravamento dell’escalation per via della possibilità di danni collaterali e della successiva reazione iraniana, che probabilmente colpirebbe Israele con un maggior numero di missili balistici rispetto all’attacco di ottobre.

L’attacco utilizzando cacciabombardieri richiederebbe il permesso di sorvolo da parte di alcuni Stati confinanti (Giordania, Arabia Saudita e Iraq) in considerazione del fatto che la distanza in gioco è maggiore di 1000 km (quindi occorre almeno un raggio d’azione di 1.300/1.400 km). L’F-35I, in servizio nella IAF (Israel Air Force), ha un raggio d’azione di 680 Nm (1200 km) ma il carico bellico e di carburante potrebbe facilmente ridurre questo valore, pertanto necessiterebbe di essere rifornito in volo nello spazio aereo iracheno o saudita. Gli F-16I, con serbatoi conformali, hanno un raggio d’azione maggiore, stimato in più di 1.800 km, ma anche in questo caso il carico bellico probabilmente diminuirebbe questo valore. Gli F-15I hanno un raggio d’azione di circa 2.200 km, più che sufficienti per colpire la maggior parte dei bersagli militari o strategici in territorio iraniano senza rifornimento in volo. Entrambi questi ultimi due velivoli, però, non hanno le stesse doti di furtività degli F-35, i quali pertanto sarebbero i preferiti per un attacco di sorpresa.

Quali sarebbero i possibili bersagli di un attacco aereo? Qui si apre un ventaglio di possibilità e di scenari.

Sebbene poco probabile, perché Tel Aviv ha mostrato di volersene occupare con altre metodologie, è comunque da considerare un attacco contro le infrastrutture iraniane per la ricerca nucleare. Questa, oltre che di impatto, se condotta col dovuto munizionamento e con un adeguato numero di cacciabombardieri, probabilmente allontanerebbe ulteriormente la possibilità che in un prossimo futuro l’Iran possa dotarsi di armamento nucleare. Un’altra opzione potrebbe essere quella di un attacco limitato ai terminal petroliferi iraniani, come quelli sull’isola di Kharg da cui passa il 90% delle esportazioni di greggio del Paese. Quest’azione comporterebbe un’impennata dei prezzi del petrolio ma sarebbe vista con particolare favore da Riad: preoccupata dal mancato rispetto dei tagli di alcuni Paesi produttori e dal prezzo basso del greggio sui mercati, l’Arabia Saudita potrebbe dare il consenso all’attraversamento del proprio spazio aereo da parte dei caccia israeliani.

Un altro obiettivo potrebbero essere le infrastrutture militari come porti e aeroporti, e da questo punto di vista nelle ultime ore si è notato ad esempio che le unità navali della marina militare iraniana hanno lasciato alcuni porti, come quello di Bandar Abbas, nel timore di un attacco aereo mirato. Un altro scenario plausibile è quello di un colpo diretto alle IRGC (Islamic Revolutionary Guard Corps) al di fuori del territorio iraniano, con ulteriori e più pesanti attacchi a magazzini e proxy in Siria, Yemen o in Iraq.

Come accennato, Israele potrebbe decidere di colpire con strumenti non cinetici affidandosi ad attacchi cyber alle infrastrutture nucleari del Paese, oppure alle infrastrutture missilistiche (che come sappiamo sono gestite entrambe dalle IRGC), senza dimenticare che sarebbe anche possibile colpire semplicemente le infrastrutture governative o petrolifere bloccandone i computer e causando danni per milioni (o miliardi) di dollari.

Di Paolo Mauri. (Inside Over)

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