7 ottobre, un anno dopo. Dalla disfatta con Hamas all’attacco a Hezbollah, la guerra delle spie di Israele

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(Roma, 07 ottobre 2024). La guerra a Gaza è iniziata anche – se non soprattutto – per il più clamoroso fallimento di intelligence dell’ultimo mezzo secolo di storia israeliana e per il disarticolamento della catena operativa delle spie dello Stato Ebraico di fronte a una minaccia operativa. Il conflitto prosegue con le due principali agenzie, Shin Bet e Mossad, in prima linea nel contribuire alla linea politica per tutelare la sicurezza nazionale del Paese nel confronto delle trattative internazionali per cercare un cessate il fuoco che appare remoto. E, al contempo, come un Giano Bifronte, le spie d’Israele, a partire dal Mossad, in un anno hanno accumulato diverse occasioni di riscatto su altri fronti lontani da Gaza.

Le spie d’Israele tra disfatta e riscatto

Il Mossad e l’Aman, l’intelligence militare, negli ultimi mesi hanno messo a segno diversi colpi: l’uccisione del capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, ucciso in Iran a fine luglio; i duri colpi inferti a Hezbollah, da ultimo l’eliminazione del leader Hassan Nasrallah, prima dell’invasione del Libano delle ultime settimane; l’attacco a diversi capi dei Pasdaran iraniani, colpiti tra Siria e Libano; l’individuazione di obiettivi fino in Yemen, con i raid contro le infrastrutture degli Houthi a Hodeida. Basta tutto questo a cancellare la grave macchia del 7 ottobre? Sarà molto difficile dirlo, anche se non soprattutto per gli effetti di ogni singola operazione di questo tipo sul quadro securitario di Israele e della regione, oggi definita dall’Atlantic Council come sull’orlo di una guerra più ampia nel riassunto del primo anno di conflitto.

La sensazione è che il 7 ottobre abbia segnato la fine di una lunga fase di torpore in cui l’intelligence israeliana si era sfilacciata in diverse cordate e correnti. Alcuni mesi prima del 7 ottobre 2023 abbiamo, su queste colonne, dato conto della rivalità politica emersa tra Shin Bet, agenzia titolare della sicurezza interna, e Mossad, agenzia di riferimento per le operazioni estere, dopo la nuova ascesa al potere di Benjamin Netanyahu. Con da un lato David Barnea, direttore del Mossad, fautore di una proiezione d’intelligence orientata a consolidare la sicurezza del Paese tramite il contenimento della triade Hamas-Hezbollah-Iran (in ordine crescente di priorità) attraverso l’estensione delle partnership regionali e di una rete di alleanze securitarie. E dall’altro Ronen Bar, direttore dello Shin Bet, fautore invece della torsione securitaria attuata dal governo sulla Cisgiordania.

Il nazionalismo e la sicurezza nazionale israeliana

Nel frattempo, l’ascesa di figure come Itamar Ben-Gvir, tribuno politico di estrema destra senza competenze strategiche, al ruolo di ministro per la Sicurezza Nazionale e la virata nazionalista di Netanyahu hanno plasmato una commistione rischiosa tra ideologie politiche al potere e interessi strategici di Tel Aviv, spingendo sulla compressione della Palestina cisgiordana e il sostegno agli insediamenti l’orizzonte politico di riferimento degli apparati. E sottovalutando una Striscia di Gaza considerata al sicuro.

Larry Hanauer, vicedirettore della divisione Global Dynamics and Intelligence presso l’Institute for Defense Analyses (IDA) di Washington, ha scritto per Cipher News un’analisi in cui ha aggiunto a questi dati il fatto che lo spostamento dell’Israel Defense Force a sostegno dei coloni ha fatto perdere la capacità di riconoscimento della sua intelligence interna, ridimensionando il peso della forza di signal intelligence, l’Unità 8200, e di human intelligence, l’Unità 504, di riferimento per capire la minaccia di Gaza. E ricordato che il vero fronte di riferimento restava quello politico.

Avvertimenti ignorati: così la catena di comando tra politica e intelligence si è spezzata

Nota Hanauer che “nonostante gli investimenti insufficienti nella raccolta di dati su Gaza, l’intelligence israeliana aveva chiare indicazioni di un’imminente azione da parte di Hamas. Israele ha catturato un piano di Hamas per un attacco transfrontaliero, nome in codice “Muro di Gerico”, sebbene i funzionari militari lo abbiano liquidato come “aspirazionale”. Le nazioni amiche hanno condiviso informazioni di intelligence che suggerivano che Hamas stava pianificando qualcosa di grosso. Le sentinelle di confine ( tatzpitaniyot) , tutte donne, hanno riferito di aver osservato attività di Hamas che rappresentavano chiaramente un addestramento per un attacco“.

Come prima della guerra del Kippur del 1973, sono mancati il coordinamento delle informazioni in un flusso coerente, la costruzione di scenari operativi possibili di minacce potenziali che potevano palesarsi, il confronto serrato tra agenzie e governo e, soprattutto, la leadership operativa per plasmare una risposta.

I direttori dello Shin Bet, Ronen Bar (secondo da sinistra) e del Mossad, David Barnea (a destra) alle celebrazioni per il Giorno della Memoria per i caduti delle guerre israeliane e delle vittime degli attentati contro i cittadini dello Stato Ebraico. La cerimonia, nota col nome ebraico di Yom HaZikaron, quest’anno si è tenuta il 13 maggio 2024.

Il futuro delle spie israeliane nella guerra

La catena di comando ha fallito a ogni livello e questo brusco risveglio ha spinto a una divisione del lavoro che ha ridato garanzia operativa e centralità alle agenzie nei teatri critici. Il capo dell’intelligence militare israeliana, Aharon Haliva, si è dimesso ad aprile assumendo le responsabilità per il 7 ottobre, mentre Bar e, soprattutto, Barnea sono rimasti al loro posto con rinnovate premesse.

Applicando, in particolare, una dottrina operativa apertamente offensiva su altri fronti per alleggerire la pressione delle cancellerie globali su Gaza e sfruttare i “dividendi” della catena di mosse che sul fronte di Hamas ha prodotto invece lacune, ovvero la conoscenza di un quadro chiaro sugli altri rivali di Israele. Il cui sostegno alla causa di Hamas è stato alla base dell’offensiva scatenata loro addosso dalle spie di Israele come “punta di lancia” dell’Idf.

Basterà questo a mettere al sicuro Israele negli anni a venire, obiettivo di fondo dell’intelligence? Presto per dirlo. Vero è, però, che l’agenda di Netanyahu non può prescindere dal Mossad e i suoi “fratelli”. Ma la leadership resta alla politica, cioè al punto critico del Paese. Le vittorie offensive non cancellano il flop difensivo delle spie di Tel Aviv, che dai 1.200 morti del 7 ottobre possono e devono trarre importanti lezioni sulla necessità di non sottovalutare nessun nemico. L’errore più banale, ma più spesso compiuto, dagli strateghi di ieri e di oggi. E dovendo agire in supplenza di un potere politico che alla sicurezza del Paese antepone l’ultra-nazionalismo e i suoi effetti, questa necessità è ancor più cogente oggi.

Di Andrea Muratore. (Inside Over)