(Roma, Parigi, 30 settembre 2024). Non è un’invasione su larga scala ma sicuramente è un salto di qualità ulteriori rispetto alle operazioni dei giorni scorsi: dopo diciotto anni Israele rimette piede in Libano e lo fa per lanciare operazioni di terra nel sud del Paese dei Cedri dirette, secondo quanto afferma il governo di Tel Aviv, a smantellare ulteriormente l’apparato militare di Hezbollah già duramente colpito nelle ultime due settimane. Israele parla di operazione “limitata” ma lo spiegamento di forze promosso non sembra indifferente: preceduta da un’operazione di bombardamento d’artiglieria nell’area di Marjayoun e Wazzani, vicino a Ghajar,nel sud del Paese l’incursione dell’Israel Defense Force è iniziata attorno alle 21 ora italiana.
Ad aprire le operazioni i proiettili da 155 mm degli obici M109 dell’Idf. Sono segnalati bombardamenti aerei in diverse altre città: Kawkaba, Rachaya al-Fakhar, Kfar Kila e Khiam.
L’incursione di Israele è stata avviata dalla zona militare circoscritta attorno alle città settentrionali di Metula, Misgav Am e Kfar Giladi. Il New York Times segnala che funzionari israeliani e occidentali a conoscenza del dossier “hanno affermato che i raid sono stati incentrati sulla raccolta di informazioni sulle posizioni di Hezbollah vicino al confine, nonché sull’identificazione dei tunnel e delle infrastrutture militari del gruppo sostenuto dall’Iran, al fine di attaccarli dall’aria o da terra”.
L’esercito libanese regolare, privo di una sostanziale capacità di combattimento, ha lasciato le postazioni nel sud del Paese dopo i bombardamenti d’artiglieria e, secondo quanto si apprende dalle fonti Osint, ai suoi reparti si starebbero sostituendo le formazioni di Hezbollah. Non sono segnalati, mentre scriviamo, scontri a fuoco diretti tra i reparti di Tel Aviv e quelli del Partito di Dio. La situazione è in evoluzione. Questo preambolo di invasione non sta vedendo schierati i mezzi corazzati e le altre grandi unità viste in via di posizionamento al confine nei giorni scorsi. Le immagini reperibili mostrano gruppi di fanteria, commando e forze speciali, presumibilmente dirette a compiere operazioni di sabotaggio o di messa in sicurezza dell’area.
Quale l’obiettivo di Israele in questa fase? Difficile comprenderlo, visto il predominio della tattica sulla strategia nelle operazioni ordinate da Benjamin Netanyahu. C’è però una traccia nelle parole odierne del primo ministro libanese Najib Mikati, che nella giornata di oggi ha chiesto un cessate il fuoco e l’attuazione della Risoluzione 1701, l’accordo del 2006 approvato dalle Nazioni Unite che impone a tutte le forze, eccetto l’esercito di Beirut e la missione Onu Unfil, di ritirarsi da tutte le aree tra il fiume Litani e il confine israeliano. Hezbollah è ancora presente in queste zone e ora vi è entrata anche Israele: possibile che la strategia di Tel Aviv sia quella di creare una zona demilitarizzata tra il Litani e il confine per deprimere ulteriormente la capacità offensiva della coalizione sciita. Ma siamo ancora nel campo delle ipotesi.
Resta la realtà: un durissimo martellamento che dall’attacco ai cercapersone del 17 settembre è asceso fino all’eliminazione sistematica dei leader di Hezbollah e oggi ha il compimento nell’operazione di terra. Ora il Libano è in fiamme e in una decina di giorni 1.200 cittadini sono morti. Un altro computo pesante della guerra che da un anno divampa in Medio Oriente. E che la notte di lunedì 30 settembre spinge ulteriormente di più in territori inesplorati.
Di Andrea Muratore. (Inside Over)