Dopo l’attacco di Israele Hezbollah è in difficoltà. Ma darlo per vinto sarebbe un errore

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(Roma, 20 settembre 2024). Marco Carnelos, l’autore di questo articolo, ha lavorato per venticinque anni in diplomazia con incarichi in Somalia, Nazioni Unite, Iraq e come consigliere di tre Presidenti del Consiglio in diversi ambiti (Medio Oriente, Terrorismo, Russia, promozione economico-commerciale, attrazione degli investimenti). È stato anche Ambasciatore d’Italia in Iraq.

L’audace operazione israeliana che in meno di 48 ore ha disarticolato le comunicazioni wireless di Hezbollah ha generato analisi e speculazioni che hanno privilegiato gli aspetti tecnici dell’operazione e le motivazioni che avrebbero indotto Israele ad avvalersi, proprio in questo momento, di questo straordinario asset tenuto nascosto per diversi mesi. Assai più ridotto è stato il focus su come l’evento possa essere stato metabolizzato da Hezbollah e quali potrebbero essere le reazioni del movimento.

Qualsiasi valutazione sulle possibili valutazioni e reazioni di Hezbollah agli attacchi subiti deve tenere conto di una regola standard rimasta costante per decenni: l’organizzazione non si lascia dettare le sue scelte, i tempi e le modalità delle sue reazioni dalle esigenze manifestate dal ciclo delle notizie che ruota intorno ai grandi networks informativi occidentali e, tantomeno, dalle aspettative nutrite dalle classi politiche e dagli apparati di sicurezza degli Stati con i quali si confronta, a partire proprio da Israele. In genere, più il colpo subito è di forte entità e più i tempi della risposta di Hezbollah si allungano.

Consapevole della propria inferiorità militare e tecnologica, Hezbollah ha sempre tentato di usare a proprio favore fattori immateriali come il tempo. Tenere il nemico sulla corda nell’attesa, sovente snervante, di come e quando si concretizzerà la rappresaglia già di per sé è una forma di reazione e di punizione del proprio avversario.

Sin dal 7 ottobre scorso, Hezbollah sta conducendo una guerra di attrito nei confronti di Israele, costringendolo a tenere una parte consistente delle sue forze armate impegnate lungo il confine settentrionale del Paese; un dispositivo che invece avrebbe potuto essere impegnato a Gaza. Tutto questo determina dei costi militari per Israele ai quali si assommano quelli politici, economici, sociali e psicologici determinati dalle decine di migliaia di cittadini israeliani sfollati dalle regioni settentrionali di abituale residenza e risistemati in aree meridionali più sicure. Mantenere un apparato di sicurezza militare e di intelligence in una situazione costante di massima allerta, parimenti comporta costi economici e psicologici non indifferenti.

In sintesi, quello che Hezbollah riesce a fare meglio nella sua lotta contro Israele è un pervicace logoramento. Se questo riuscirà veramente ad indebolire lo Stato ebraico soltanto il tempo potrà dirlo.

La leadership dell’organizzazione libanese è molto cauta e calcola sempre molto attentamente le opzioni a disposizione. Tende a evitare decisioni affrettate sull’onda delle emozioni. Questo atteggiamento può generare forme di frustrazione nella base popolare e nei militanti, i quali tuttavia hanno finora generalmente manifestato un forte senso di disciplina.

È indubbio che in questo momento all’interno di Hezbollah regni molta confusione, il colpo subito è stato durissimo anche dal punto di vista piscologico, tale da generare una forte incertezza e oggettive difficoltà nel sistema di comando e comunicazione del movimento proprio mentre si profila, stando alle ultime decisioni del Governo israeliano, un probabile nuovo intervento militare nel Paese del quale, tuttavia non sono ancora note le caratteristiche, ovvero se unicamente aereo o anche terrestre.

La sorpresa è stata fortissima, tanto più che, dopo l’esplosione dei pagers, i vertici del movimento non hanno diramato a tutti i militanti la direttiva di liberarsi delle radio walkie-talkie le cui nuove batterie da poco acquisite sembra facessero parte dello stesso stock di acquisto dei nuovi pagers che sono detonati in massa. Una circostanza, questa, che toglierebbe credito alla tesi, insistentemente avvalorata da fonti USA e giornalistiche israeliane, secondo cui Israele avrebbe deciso di far detonare gli apparati elettronici perché Hezbollah aveva scoperto o stava per scoprirne la manomissione.

Hezbollah deve quindi fare i conti con una capacità israeliana di penetrare e distruggere le comunicazioni wireless del movimento e, soprattutto, di una certa sprovvedutezza da parte dei servizi che curano il procurement dell’organizzazione. Mentre la compagnia ungherese BAC si sta profilando sempre più come una società di comodo del Mossad, Hezbollah sembrerebbe essere stata del tutto ignara o aver completamente trascurato la circostanza che lo stock di pagers e batterie esplosi, dopo la produzione su licenza in Ungheria, siano rimasti a lungo in Israele per la manomissione e successivamente in un Paese limitrofo prima della spedizione in Libano. In entrambi i casi si tratterebbe di un errore e una disattenzione imperdonabili

Non va dimenticato, tuttavia, che la maggioranza delle comunicazioni di Hezbollah hanno luogo attraverso un capillare cablaggio di linee fisse interrate punto a punto, completamente indipendenti dal sistema telefonico e comunicativo libanese e il cui posizionamento dovrebbe essere noto solo a un numero esiguo di membri dell’organizzazione.  Un’efficace penetrazione di quest’ultimo può avere luogo solo conoscendone i tracciati, informazione ottenibile solo corrompendo membri del movimento; un’operazione che, sulla scorta dell’esperienza, sarebbe certamente alla portata di Israele.

Di Marco Carnelos. (Inside Over)