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Cercapersone come bombe, il blitz di Israele contro Hezbollah che può allargare la guerra

(Roma, 17 settembre 2024). L’esplosione di oltre un migliaio di cercapersone di membri di Hezbollah e di altri esponenti di istituzioni e apparati legati all’Iran nella giornata odierna a seguito di un’azione con ogni probabilità di stampo israeliana ha suscitato clamore e scalpore. Un’esplosione simultanea di un numero così ampio di dispositivi, che ha causato 1.200 feriti in Libano, colpito anche l’ambasciatore dell’Iran a Beirut e provocato la morte di una persona rappresenta un’operazione di intelligence ad ampio raggio sulle cui modalità d’attuazione è bene interrogarsi attentamente. Si è parlato, nelle prime battute, di un’operazione informatica di infiltrazione cyber come possibile vettore della manovra ostile degli israeliani, che si trincerano dietro il loro consueto silenzio. “Come diceva Sherlock Holmes, in casi del genere, se escludiamo l’impossibile, ciò che resta per quanto improbabile è pur sempre possibile”, commenta a InsideOver il professor Alessandro Curioni, esperto di cybersicurezza e titolare di Di.Gi Academy. “E a una prima analisi a caldo, l’unica cosa impossibile è che un migliaio di device possano esplodere contemporaneamente per caso”.

Curioni invita a ragionare evitando di “giungere a conclusioni affrettate. Per avere più elementi, dovremmo aver a disposizione un cercapersone del tipo in dotazione a Hezbollah. Ma nel frattempo possiamo fare alcune ipotesi”, ragiona l’esperto. Ad esempio, “non bisogna dare per certo che l’operazione sia stata di matrice informatica. Un’operazione di questo tipo sarebbe stata molto complessa e ci sarebbe stato un tema di energia cinetica: le batterie dei dispositivi avrebbero dovuto essere tutte a piena carica per massimizzare il danno”, nota Curioni, “e spesso in casi del genere i dispositivi infettati prendono fuoco, non esplodono”. Ci sono dei dubbi, dunque, sull’attacco informatico. Che non può essere escluso, certamente: “quando Israele infettò i reattori nucleari con il virus Stuxnet, all’inizio l’operazione sembrava impossibile. Ma se si trattasse di un attacco informatico, avremmo a che fare con un’operazione senza precedenti nella storia”.

L’esperto invita a considerare anche il “nodo della supply chain. Si legge nei primi resoconti che i dispositivi in dotazione a Hezbollah erano stati cambiati di recente, dunque è possibile che i militanti avessero cambiato i loro vecchi cercapersone con dei lotti nuovi e uniformi, magari con gli stessi dispositivi”. Curioni ricorda che “basta infiltrare la supply chain della produzione in questione per poter sabotare un lotto e, magari, infiltrare un dispositivo con un componente capace di produrre un danno cinetico, magari se attivato a distanza o programmato a tempo con l’obiettivo di esplodere”. Del resto, questo scenario invita a non escludere la componente fisica e materiale dell’attacco in un’operazione che è sì stata decentralizzata ma anche coordinata nei tempi. “Lo ipotizzavo anche nel mio saggio Cyber War, scritto a quattro mani col professor Aldo Giannuli”, ricorda Curioni, il quale ricorda di aver scritto “della possibilità che un lotto fisicamente alterato di chiavette USB potesse essere utilizzato per colpire una compagnia di navigazione aerea attraverso l’alterazione della catena di produzione in modo tale da mandare il prodotto sul mercato a un prezzo basso in grado di renderlo appetibile”. Qualcosa di simile è successo anche in Libano? Tutte le opzioni sono sul tavolo. Ma dare per scontata la pista informatica, come si legge su molti media, appare riduttivo.

Come spesso accade in Medio Oriente, la “nebbia di guerra” predomina. Assieme all’incertezza su cosa accadrà in risposta a questa mossa. Perché una cosa è certa: la mossa di Israele appare un tentativo – l’ennesimo – di allargare il conflitto che da un anno insanguina il Medio Oriente oltre il confine libanese. Una prospettiva che molti vertici militari israeliani hanno stigmatizzato ma che appare, sempre più, l’obiettivo finale del primo ministro Benjamin Netanyahu. A cui la “guerra infinita” serve per consolidare una presa sul potere altrimenti destinata a esaurirsi.

Di Andrea Muratore. (Inside Over)

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