(Roma, 08 luglio 2024). La domanda del mese, sempre che non arrivino ulteriori sviluppi, è: che diavolo avrà in mente Viktor Orbàn? Il premier ungherese, in carica dal 1998 al 2002 e poi dl 2010 a oggi, guida di un Paese di soli 9,6 milioni di abitanti, da molti considerato un piccolo autocrate illiberale e antieuropeista, sta mettendo a soqquadro un’Unione Europea fresca di voto che, tra l’altro, sta cercando con una certa fatica di rinnovare le proprie cariche istituzionali. L’Ungheria ha assunto il 1° luglio la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea e Orban in otto giorni è riuscito a incontrare Zelensky a Kyïv (2 luglio), Putin a Mosca (5 luglio), Xi Jinping a Pechino (8 luglio), ripartendo poi alla volta del summit NATO di Washington (9-11 luglio). Un tour de force diplomatico che potrebbe riservare altre sorprese, se ha ragione Peter Szijjarto, il ministro degli Esteri ungherese, che ha consigliato ai politici europei di “allacciare le cinture di sicurezza e seguire da vicino” gli ulteriori passi nel quadro della “missione di pace” del suo primo ministro.
Delle reazioni dei politici europei abbiamo già parlato qui: furibonde fin quasi al ridicolo. Più composte quelle della NATO: il segretario generale Jens Stoltenberg si è limitato a dire che Orban non ha alcun mandato NATO nei suoi colloqui, cosa che peraltro nessuno, e tanto meno Orban, aveva ipotizzato. Tutti colti di sorpresa da una serie di iniziative che Orban doveva evidentemente aver preparato in vista del semestre di presidenza ungherese.
È molto probabile che i suoi colloqui non producano nulla di decisivo. Impossibile che UE e USA (e di conseguenza Ucraina) accettino una soluzione, qualunque essa sia, concordata da altri, soprattutto da un reprobo come Orban, che ha sempre discusso gli aiuti a Kyïv e che ha dichiarato, anche nelle scorse ore, di essere allineato con il “piano di pace” a suo tempo presentato da Xi Jinping e ripetutamente bocciato dagli Usa. E allora perché tutto questo rumore ?
La ragione è semplice, e sta tutta in una domanda: perché un’operazione simile non è stata tentata, per dire, da Josep Borrell, l’alto rappresentante UE per la politica estera e di difesa? La risposta è semplice: perché Borrell non vuole una tregua, un negoziato, una pace. Borrell vuole, come gli altri politici europei e americani, la sconfitta sul campo della Russia. Il ragionamento è trasparente e viene spesso esplicitato: qualunque cosa non sia la sconfitta della Russia, è una sconfitta per noi. E quindi non è che la guerra non si può fermare o non si riesce a fermare: la guerra deve continuare. È un assioma. Non conta più null’altro. Non conta che il tracollo economico-militare della Russia non sia alle viste, che l’Ucraina dal processo possa uscire stritolata, che la vittoria come definita da Zelensky (la Russia si ritira da tutti i territori occupati, Crimea compresa) sembri ormai impossibile.
Orban, con i suoi improbabili tentativi, propone la teoria esattamente opposta: si fa la pace (o negoziato o anche solo una tregua) e poi si discute. E si discute con tutti. Con la Russia di Putin, che invece non è stata invitata alla Conferenza di pace in Svizzera. Si discute con la Cina di Xi Jinping, che l’Occidente giudica decisiva nel sostenere la Russia ma vuole ininfluente nel processo di regolazione del conflitto. E ovviamente con l’Ucraina di Zelensky e con gli Usa di Joe Biden.
Orban, è chiaro, non è un idealista disinteressato. Ha paura di una guerra totale in Europa, certo. Però tiene ai rapporti con la Cina: Xi Jinping è stato a Budapest di recente anche per parlare dei progetti che il suo Paese ha avviato in Ungheria, soprattutto nella produzione di batterie e auto elettriche, per un valore di 15 miliardi. E tiene a quelli con la Russia, in omaggio al teorema enunciato anche di recente dal solito ministro degli Esteri Szijjarto: “Da dove acquisti energia non ha nulla a che fare con la politica e non è una dichiarazione politica. Questa è una questione di realtà fisica. E poiché l’obbligo e la responsabilità del Governo ungherese è garantire la fornitura sicura di energia del Paese, e poiché questo è fisicamente escluso senza fonti russe, continueremo a collaborare in modo pragmatico con la Russia. Come molti altri fanno, anche se non ne parlano”.
L’Ungheria, però, non è l’unico Paese ad avere interessi economici collegati alla guerra in Ucraina. Ed è piuttosto chiaro che chi ha un interesse economico nel proseguimento della guerra può avere solo un interesse perverso, basato sulla morte di centinaia di migliaia di persone. L’unica vera considerazione strategica è che fermare la guerra conviene a tutti. E che la “pace giusta”, quella che con coraggio e pieno diritto chiedono gli ucraini, non verrà dalla guerra. Il resto è tattica.
Di Mirko Marchi. (Inside Over)