(Roma, 06 luglio 2024). A prescindere dall’esito delle votazioni, oggi per l’Iran sarebbe comunque stato un giorno importante. Il ballottaggio, il secondo nella storia della Repubblica Islamica, vedeva contrapposti un medico e un diplomatico. Riformista il primo e ultra conservatore il secondo, ma entrambi accomunati dal fatto di non essere rappresentanti del clero sciita. E questo, per una teocrazia come quella iraniana, è già un passo significativo.
A spuntarla nel duello ravvicinato è stato il medico riformista Masoud Pezeshkian: a lui, secondo l’ufficio elettorale, sarebbe andato il 54% dei consensi. Nulla da fare invece per lo sfidante conservatore Saeed Jalili, fermo a poco più del 45%.
Cosa cambia con il voto
Nel valutare la figura del nuovo presidente, occorre prima fare una precisazione sul sistema politico iraniano: a Teheran non esistono i partiti basati sul modello occidentale e l’appartenenza a uno schieramento è più figlia delle posizioni personali che di una iscrizione in una delle formazioni politiche registrate. Dunque, Pezeshkian è considerato riformista non tanto perché sostenuto da partiti riformisti ma per via del suo percorso politico precedente e di quanto da lui dichiarato durante la campagna elettorale.
Il nuovo presidente è stato infatti ministro della Sanità durante il primo governo di Khatami, tra il 1997 e il 2001, ossia l’esecutivo più riformista conosciuto dall’Iran dopo la rivoluzione islamica del 1979. Nella corsa al voto, Pezeshkian ha più volte rimarcato i suoi propositi sia in politica interna che estera: sul primo fronte, si è detto favorevole a rivedere la legge che obbliga le donne a coprirsi il capo con l’hijab, mentre sui rapporti con l’estero ha sottolineato l’importanza di cercare una distensione con l’Occidente.
Posizioni senza dubbio differenti da quelle del suo predecessore Ebrahim Raisi, morto a maggio a seguito dello schianto dell’elicottero. Ma oltre alle politiche promosse in campagna elettorale, la figura di Pezeshkian appare interessante per altri motivi. Il nuovo presidente ha origini azere, proviene infatti dalla città settentrionale di Tabriz, ma la sua famiglia vanta anche discendenze curde. Si tratta quindi di una figura forse in grado di intercettare meglio il malcontento delle minoranze, spesso parti attive nelle proteste anti governative degli ultimi anni.
L’incognita dei rapporti con la Guida Suprema
Al voto per questo ballottaggio si è recato il 49% degli aventi diritto, una percentuale più alta rispetto al primo turno. Si tratta di una vera anomalia, considerando che solitamente il ballottaggio rappresenta la votazione più disertata in ogni latitudine. La crescita degli elettori ai seggi può quindi essere inquadrata nella fiducia riposta da alcune frange dell’opinione pubblica nel nuovo presidente.
Ma a Teheran e in tutto il Paese sono molti coloro che ritengono Pezeshkian un volto della nomenclatura al potere, seppur più moderato e senza turbanti in testa. Sui social, soprattutto tra i membri della diaspora iraniana, in molti hanno parlato di una operazione di marketing della Guida Suprema, l’ayatollah Khamenei, volta a far avanzare un candidato riformista per ripulire l’immagine del regime e ridare legittimità al sistema politico.
Ad ogni modo, le posizioni di Pezeshkian appaiono diverse da quelle di Khamenei e questo, comunque la si veda, pone degli interrogativi. A partire dal tipo di collaborazione che ci sarà tra il presidente e la Guida Suprema, con quest’ultima che incarna la vera figura apicale del potere iraniano, e dal tipo di linea che prenderà Teheran a partire già dai prossimi giorni.
Di Mauro Indelicato. (Inside Over)