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Un rifugiato su otto è sudanese : le conseguenze della guerra civile

(Roma, 16 giugno 2024). In Sudan, dove la guerra civile imperversa da più di un anno, è in atto la più grande crisi di sfollati nel globo. La situazione umanitaria è tragica: un rifugiato su otto nel mondo è sudanese. Il conflitto armato in corso continua a mettere alle strette il popolo sudanese, che non può far altro che fuggire, alimentando così la crisi umanitaria e peggiorando in particolar modo l’insicurezza alimentare.

Si parla di 10 milioni di sfollati interni, come riporta l’Organizzazione internazionale per le migrazioni. Di questi, più della metà sono donne e più di un quarto sono bambini di età inferiore ai cinque anni. In un quadro totale, circa 12 milioni di persone sono state costrette a fuggire dalle proprie case in Sudan, mentre oltre 2 milioni hanno attraversato le frontiere verso i paesi vicini, in particolare in Ciad, Sud Sudan e Egitto. A questi numeri bisogna sommare gli oltre 2 milioni di sfollati dovuti alle guerre precedenti che hanno contraddistinto l’area per anni.

L’Unicef parla di 3 milioni di bambini sfollati interni, il numero più alto a livello globale, che comporterebbe un rischio per la loro vita, soprattutto per le condizioni insalubri dei siti di sfollamento al momento sovraffollati che favoriscono la diffusione di malattie, come colera e morbillo, letali per i bambini colpiti da malnutrizione acuta. Mancano operatori e strutture sanitarie funzionanti. Come se non bastasse, è sempre più vicina la stagione delle piogge a complicare una situazione al limite, aggiungendo disastri climatici e diffusione di ulteriori malattie.

Dove si rifugiano gli sfollati interni

Le zone a maggior rischio e in cui si trovano i campi per gli sfollati interni sono Khartoum, Kordofan, gli Stati di Gedaref, Nilo e Kassala e gli stati di Gezira e del Darfur. Quest’ultima è l’area che ospita un terzo degli sfollati e la zona dalle condizioni più critiche.

Le strade principali sono bloccate e impediscono ai civili di raggiungere zone più sicure, limitando anche la quantità di cibo e aiuti umanitari che riescono ad arrivare in città. In queste aree i civili speravano di trovare sicurezza, ma si sono imbattuti in carenza di alloggi, cibo, acqua e cure mediche a causa di una guerra che sta attraversando tutto il Paese. Si tratta, però, di ostacoli deliberati e sistematici mirati a impedire l’accesso all’assistenza umanitaria e che lasciano la popolazione civile senza beni essenziali per la sopravvivenza, violando il diritto umanitario internazionale.

La crisi che contraddistingueva il Sudan da anni è sfociata in una guerra civile a metà aprile 2023 nella capitale Khartoum, con violenti scontri tra le Forze Armate del Sudan (SAF) e le Forze di Supporto Rapido (RSF), espandendosi poi in tutto il Paese. Perciò, la gran parte degli sfollati interni cerca di trovare rifugio e sopravvivere in luoghi ad alto rischio di carestia in un contesto in cui l’accesso umanitario è pressoché inesistente. Le origini di questa condizione partono da guerre che hanno visto luce molto prima di questo conflitto.

20 anni di conflitto nel Darfur

Il 25 aprile 2003 il Movimento popolare di liberazione del Sudan attaccò le forze militari sudanesi distruggendo aerei governativi all’aeroporto di Al-Fashir, la capitale del Darfur Settentrionale. Alla base di questi avvenimenti le tensioni tra le comunità arabe e non arabe. Gli attacchi furono intesi come un’umiliazione dal governo di Khartoum, che risposte attaccando le comunità non arabe del Darfur. La guerra è scoppiata allora e non ha mai visto la fine.

Sin dalla sua indipendenza, il Sudan è sempre stato caratterizzato da una da una trascuratezza delle periferie del grande Paese e da una discrepanza di risorse con le zone più ricche. I ribelli, che diedero via al conflitto nel 2003, intendevano far sentire la propria voce e mettere fine all’emarginazione della regione. L’allora presidente Omar al-Bashir additò i ribelli come terroristi e razzisti, reclutando milizie arabe, soprannominate “Janjaweed”, al fine di combatterli e causando la morte e lo sfollamento di migliaia di persone.

Il conflitto non cessò così come non cessarono gli attacchi nei confronti dei civili. Nel 2009 e nel 2012, la Corte Internazionale dell’Aia ha emesso mandati d’arresto nei confronti del presidente al-Bashir per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio.

Le forze governative sudanesi, infatti, hanno sempre attaccato non solo l’esercito e i militari, ma anche le popolazioni civili di alcuni gruppi considerati sostenitori degli insorti. Amnesty International ha indagato e certificato molte delle violazioni del diritto internazionale come l’uccisione illegale di civili, lo stupro, lo spostamento forzato di civili e l’uso di armi chimiche. Purtroppo, il Sudan non ha mai collaborato abbastanza perché fosse fatta giustizia e il capo del governo non è mai stato consegnato neanche dopo la sua deposizione.

Khartoum nel 2013 formò un corpo paramilitare potenziato tra gli arabi del Darfur, Rapid Support Forces (RSF), capeggiate dal generale Mohamed Hamdan Daglo, detto “Hemedti“. Quest’ultimo riuscì, alleandosi con altri generali, a sconfiggere al-Bashir nel 2019, stabilendosi al potere. La condivisione del potere tra diversi leader militari ha formato un governo di transizione, firmando un accordo di pace sudanese solo nel 2020. Ma le violenze nella regione non cessarono, continuando con uccisioni, violenze, saccheggi e distruzione di interi villaggi.

Alla fine del 2022 è stato firmato un “accordo quadro” tra leader civili e militari per una nuova autorità civile transitoria con un mandato di due anni, stabilendo anche l’accertamento delle responsabilità per i crimini secondo il diritto internazionale. Il conflitto scoppiato nel 2023 ha complicato ulteriormente la condizione del Darfur, che non è stato esente da attacchi e che attualmente è in conflitto da 20 anni.

(Inside Over)

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