(Roma, 12 aprile 2024). Imminente un attacco iraniano contro Israele. Il Jerusalem Post analizza le opzioni militari al vaglio del regime degli ayatollah
La risposta dell’Iran all’attacco israeliano che a inizio aprile ha provocato la morte a Damasco di un importante comandante delle Guardie rivoluzionare è data per imminente. Washington si dice pronta ad intervenire non solo per difendere Tel Aviv ma anche per prendere parte ad un’eventuale controffensiva dello Stato ebraico contro Teheran. E mentre l’ayatollah Ali Khamenei conferma che “Israele sarà punito” ci si interroga sul tipo di reazione che il regime iraniano avrebbe già approvato.
Il Jerusalem Post ha messo nero su bianco le opzioni militari al vaglio dei vertici della Repubblica islamica. Si tratta di una decina di scenari che, considerando il modus operandi della Repubblica islamica, sono ritenuti altamente probabili. La lista stilata dal quotidiano si apre con il possibile lancio da parte di Teheran di missili balistici contro il territorio israeliano. L’Iran ha fatto ricorso a questa soluzione nel gennaio del 2020 colpendo una base americana in Iraq come ritorsione per il blitz Usa che aveva neutralizzato all’aeroporto di Baghdad Qasem Soleimani, il leggendario generale dei pasdaran.
Il lancio dei missili balistici potrebbe avvenire dall’Iran oppure dal vicino Iraq dove negli ultimi anni il regime teocratico ha trasferito armamenti vari estendendo la sua influenza su Anbar, la provincia irachena dalla quale nel 1991 il dittatore Saddam Hussein lanciò gli Scud contro Israele. L’Iran ha dato prova delle sue capacità militari a inizio anno quando, con il pretesto di colpire i terroristi in Siria e Pakistan, ha mostrato al mondo i suoi missili Kheibar Shekan della gittata di oltre 1400 chilometri.
La Repubblica islamica potrebbe inoltre approvare un attacco con droni e con missili da crociera. Anche qui vi è un precedente. Almeno 18 velivoli senza pilota e sette missili furono lanciati nel 2019 dall’Iran contro l’impianto petrolifero saudita di Abqaiq. Un’azione che non fece vittime ma ebbe un forte impatto simbolico nel contesto della decennale rivalità tra le due potenze regionali.
Alle azioni dirette di Teheran bisogna aggiungere quelle che potrebbero essere realizzate dai suoi proxy, le organizzazioni foraggiate dagli iraniani in Siria, Yemen, Libano e Iraq. Lo scorso gennaio gruppi filosciiti iracheni hanno compiuto un’operazione contro una base Usa in Giordania che ha provocato la morte di tre soldati americani. Ancora una volta il regime teocratico potrebbe affidare il “lavoro sporco” ai suoi sostenitori in Medio Oriente per evitare un coinvolgimento diretto e ridurre il rischio di una schiacciante controreazione israeliana.
A tal proposito non si esclude che i pasdaran non abbiano predisposto un attacco coordinato dei proxy nel corso delle riunioni tenutesi nel cosiddetto bunker del Giorno del Giudizio. Gli Hezbollah in Libano e gli Houthi in Yemen sarebbero pronti ad aumentare la pressione su Tel Aviv adoperando la strategia dei “mille tagli” contro il loro storico nemico. In particolare, lo scoppio di una guerra al confine settentrionale dello Stato ebraico si salderebbe al conflitto nella Striscia di Gaza e all’escalation della tensione con gli iraniani mettendo a dura prova le forze militari israeliane. C’è da aggiungere infine che Teheran starebbe valutando attacchi contro ambasciate e obiettivi d’Israele all’estero.
Secondo le intelligence occidentali il regime degli ayatollah svelerà le sue carte nelle prossime ore. A seconda della gravità delle azioni che verranno eseguite, il governo guidato dal premier Benjamin Netanyahu potrebbe decidere di colpire le infrastrutture legate al programma nucleare iraniano. Impossibile prevedere ciò che accadrebbe subito dopo.
Di Valerio Chiapparino. (Il Giornale)