All’UE serve una Difesa comune, ma c’è bisogno di una vera unione

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(Roma, 21 febbraio 2024). La guerra in Ucraina ha risvegliato bruscamente dal sonno pacifista le nazioni europee. Sebbene ci fossero stati prodromi importanti, come il conflitto in Georgia e il colpo di mano in Crimea, si riteneva che la Russia potesse avere una politica estera accomodante nel teatro europeo, non considerando che a Mosca, da tempo, si percepiva l’espansione a oriente di istituzioni come la Nato, ma soprattutto dell’Unione Europea, come una minaccia.

Bisogna infatti sottolineare che, nonostante le campane della propaganda del Cremlino, l’allargamento verso oriente dell’Ue con la reale possibilità che anche l’Ucraina venisse inglobata nel meccanismo di libero scambio europeo, ha pesato più dell’espansione dell’Alleanza Atlantica nella decisione di procedere all’invasione. Una Kiev nell’Ue, infatti, avrebbe fatto cessare la libertà di circolazione di persone e beni tra la Russia e l’Ucraina, e considerando le risorse minerarie presenti nella regione del Donbass (tra cui le fondamentali Terre Rare) e quelle di idrocarburi nell’offshore della Crimea, il Cremlino non poteva permettersi di vedere reciso quel suo canale preferenziale di approvvigionamento e interscambio.

Quel 24 febbraio 2022, dicevamo, è stato quasi uno shock per alcune cancellerie europee nonostante i segnali premonitori, e conseguentemente la tematica della Difesa è tornata prepotentemente ai primi posti dell’agenda politica delle nazioni del Vecchio Continente, da troppo tempo cullate dall’idea di avere a disposizione l’ombrello militare statunitense per la propria sicurezza.

Una Difesa comune per staccarsi da Washington ?

Andando però un po’ più indietro nel tempo rispetto a quel febbraio 2022, possiamo notare che questa “culla” statunitense, non è stata così comoda come si possa pensare: il presidente francese Emmanuel Macron, nel 2019, aveva definito la Nato come “cerebralmente morta” per via della decisione di Washington di ridurre le truppe nel nord della Siria senza aver consultato l’Alleanza; la goccia che ha fatto traboccare il vaso europeo, però, è stato il ritiro unilaterale dall’Afghanistan nell’agosto 2021, o meglio la gestione unilaterale di quel ritiro che ha avuto le caratteristiche di una nuova “caduta di Saigon”.

Non è infatti un caso che, dopo quel tragico agosto, la presidente della Commissione Europea Ursula von Der Leyen, a metà settembre nel suo discorso sullo Stato dell’Unione, abbia individuato le prime linee guida per poter dotare l’Ue di uno strumento militare condiviso, imperniato in una prima Expeditionary Force a composizione mista e a comando interamente comunitario della consistenza di una brigata rinforzata.

Di “esercito europeo” se ne parla da anni, e l’Ue ha stabilito, da tempo, unità militari multinazionali solitamente composte da 1500 effettivi ciascuna che dovrebbero formare la capacità militare di reazione rapida per rispondere alle crisi emergenti e ai conflitti del globo: gli Eu Battlegroups.

Tralasciando la lunga e travagliata nascita di questi battaglioni, è interessante sottolineare come essi siano l’espressione di una volontà franco-anglo-tedesca e che, una volta uscita Londra dall’Ue, il dossier della Difesa comune sia rimasto nelle mani di Parigi e Berlino.

Questi gruppi tattici non sono mai stati utilizzati dal raggiungimento della piena capacità operativa nel 2007, nonostante le numerose opportunità di farlo: il loro mancato utilizzo e il calo dell’impegno politico a coprire il turno previsto di contribuzione delle forze significa che quello strumento non è riuscito a raggiungere il suo scopo primario. Sostanzialmente gli Eu Battlegroups erano diventati l’emblema del divario di capacità/aspettative nella sicurezza e difesa europea, almeno fino all’avvio della nuova politica comunitaria sulla Difesa.

L’Ue ha stabilito una linea temporale per l’operatività della forza di intervento rapido (l’Expeditionary Force) con termine ultimo al 2025 e che ha visto la sua prima esercitazione a ottobre del 2023 in Spagna, che però ha coinvolto 2800 soldati provenienti da Austria, Francia, Ungheria, Irlanda, Italia, Malta, Portogallo e Romania (la seconda esercitazione, verrà effettuata nella seconda metà del 2024 in Germania).

La strada sembra quindi tracciata, considerando che questa forza iniziale di 5mila uomini dovrebbe essere il fulcro di un contingente più grande, di 50mila unità.

È bene chiarire, però, che la nascita del primo nucleo dell’esercito europeo non elimina la partnership con la Nato: la presidente Von Der Leyen aveva infatti ribadito il legame con l’Alleanza Atlantica. L’Ue in ultima istanza può e deve “fare da sola” in qualità di “security provider” nel nostro vicinato e anche oltre, perché è un “giocatore globale”.

In questo senso è emblematica la definizione di quella che sarà una strategia indo-pacifica europea per essere più presenti e attivi in quel teatro fondamentale diventato, da tempo, il fulcro della geopolitica globale.

Nessun isolazionismo Usa alle porte

Bisogna poi considerare che l’agenda politica statunitense, da tempo, ha come primo obiettivo l’Indo-Pacifico indipendentemente dal colore politico dell’inquilino della Casa Bianca.

Del resto gli Stati Uniti hanno sempre dimostrato, nella loro storia, di perseguire la propria grand strategy di politica estera al di là delle differenze partitiche: a cambiare, semmai, sono state le considerazioni sull’utilità di un determinato impegno, quindi per motivazioni del tutto contingenti.

Il fil rouge che accomuna l’amministrazione Trump a quella di Biden, ad esempio, è il contenimento della Cina nel Pacifico Occidentale, ed entrambe le amministrazioni, fattualmente, stanno lavorando per “responsabilizzare” l’Europa per quanto riguarda la questione russa, se pur con una dialettica molto diversa.

Dal punto di vista di Washington, il problema è il contributo relativamente modesto degli alleati europei alla propria sicurezza collettiva, nonostante l’aumento della spesa per la difesa in paesi come la Germania. Alla luce delle responsabilità degli Usa nell’Indo-Pacifico, l’amministrazione Biden è comprensibilmente cauta nell’assumersi l’onere di un ulteriore impegno di difesa – nei confronti dell’Ucraina – che, anche se gli europei sono colpiti più direttamente, ricadrebbe principalmente sugli Stati Uniti.

La stessa questione è affrontata – nuovamente – da Trump se pur con toni diversi, molto più tranchant come è caratteristica del personaggio attualmente impegnato nella sua campagna elettorale, ma chi pensa che una sua vittoria possa portare a un isolazionismo statunitense si sbaglia.

Come detto, gli Usa hanno una visione strategica grossomodo univoca, e in questa visione non è contemplato ritirarsi dall’essere presente nei maggiori teatri di crisi, pena la crescita dell’instabilità generale e la sua diffusione.

Se è vero che Washington chiede maggiore responsabilità all’Europa per il “burden sharing”, la condivisione del peso, della Difesa, è altresì vero che l’Europa resta uno scacchiere prioritario, se pur secondario in questo periodo storico, per gli interessi statunitensi e la presenza militare Usa in Europa non sarà mai messa in discussione, tanto meno la paventata uscita dalla Nato di trumpiana memoria.

All’Ue serve più che mai una Difesa comune

L’Ue, quindi, non deve procedere speditamente verso una Difesa comune per il rischio di venire abbandonata dagli Usa, ma per avere autonomia strategica e quindi più peso politico e nel consesso internazionale.

Per Difesa, è bene precisare, non intendiamo solamente la fondazione di un esercito europeo, ma anche di un sistema maggiormente integrato e razionale di quello che viene definito come “ecosistema Difesa”, ovvero la sinergia tra industria, accademia e forze armate che è stato solo parzialmente individuato dalla “Bussola Strategica” europea.

Internamente persistono ancora troppe rivalità, dettate da protezionismo, perché possa avvenire una piena integrazione, e soprattutto si sta delineando un Paese solo – la Francia – come leader del sistema di difesa comunitario che porta con sé il rischio di una politica estera e di Difesa asservita agli interessi di Parigi, che sono diversi sotto molto aspetti da quelli dell’Ue.

Ulteriore problema, come già detto in tempi non sospetti da queste colonne, è la sostanziale assenza di una politica estera comunitaria che sia univoca, fattore che incide direttamente e pesantemente sul possibile uso dello strumento militare europeo. Non esiste quindi soluzione? Chi scrive aveva teorizzato la possibilità della creazione di un “consiglio di sicurezza” europeo, formato dalle nazioni più importanti dal punto di vista economico/militare (Germania, Francia, Italia, Spagna e Polonia) con un membro a rotazione tra le altre per poter avere un processo decisionale più snello e agile.

Di Paolo Mauri. (Inside Over)