L'actualité du Proche et Moyen-Orient et Afrique du Nord

Cresce la tensione al confine tra Israele e Libano

(Roma, 15.febbraio 2024). Le Idf hanno intensificato i propri attacchi contro il movimento sciita libanese filo-iraniano Hezbollah negli intensi scontri registrati tra mercoledì e giovedì

Nel 132esimo giorno dall’inizio del conflitto tra Israele e il movimento islamista palestinese Hamas, le Forze di difesa israeliane (Idf) hanno fatto irruzione nell’ospedale Nasser, a Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza, ritenuto da Tel Aviv un centro nevralgico di Hamas, oltre che luogo di prigionia degli ostaggi rapiti il 7 ottobre. Tuttavia, è il fronte settentrionale, al confine con il Libano, a essere teatro di una escalation. Le Idf hanno intensificato i propri attacchi contro il movimento sciita libanese filo-iraniano Hezbollah negli intensi scontri registrati tra mercoledì e giovedì al confine israelo-libanese, come ha dichiarato il ministro israeliano della Difesa, Yoav Gallant, durante un’esercitazione militare, sottolineando: “Possiamo attaccare non solo a 20 chilometri (dal confine), ma anche a 50 chilometri, a Beirut e in qualsiasi altro luogo”. “Non vogliamo arrivare a questo punto, non vogliamo entrare in guerra, ma piuttosto siamo interessati a raggiungere un accordo che permetta il ritorno sicuro dei residenti del nord (di Israele, al confine con il Libano) alle loro case”, ha affermato Gallant, riferendosi ai circa 80 mila israeliani sfollati a causa degli scontri quotidiani che vanno avanti dall’8 ottobre scorso tra le Idf e Hezbollah. “Ma se non c’è scelta, agiremo per riportare (i residenti) nelle loro case e creare la sicurezza adeguata per loro. Questo dovrebbe essere chiaro sia ai nostri nemici che ai nostri amici. E come lo Stato di Israele, l’establishment della difesa e le Idf hanno dimostrato negli ultimi mesi, quando diciamo qualcosa la facciamo sul serio”, ha aggiunto il ministro.

Nel corso dei bombardamenti delle Idf, è stato ucciso Ali Muhammad Al-Debs, il comandante della Forza Al Hajj Radwan, reparto speciale della componente militare del partito sciita libanese filo-iraniano Hezbollah. Secondo le forze israeliane, “Al-Debs è stato tra coloro che hanno diretto l’attacco terroristico a Megiddo, in Israele, nel marzo 2023. Ha guidato, pianificato e portato avanti attività terroristiche contro lo Stato di Israele, soprattutto durante questa guerra”. La nota delle Idf aggiunge che oggi i caccia israeliani hanno colpito due strutture militari di Hezbollah nelle zone di Blida e Maroun al Ras, non lontano dal confine tra Israele e Libano. Inoltre, sono stati uccisi altri tre miliziani di spicco di Hezbollah. Da parte sua, il movimento sciita filo-iraniano ha lanciato circa 20 razzi contro la città di Kiryat Shmona, nel nord di Israele. La raffica di razzi lanciati da Hezbollah ha fatto immediatamente scattare le sirene antiaeree e ha causato interruzioni dell’elettricità in alcune frazioni della città dell’Alta Galilea. Sulla questione è intervenuto anche il portavoce della Forza di interposizione in Libano delle Nazioni Unite (Unifil), Andrea Tenenti, per il quale gli attacchi contro i civili costituiscono violazioni del diritto internazionale e sono crimini di guerra. Negli attacchi aerei lanciati da Israele nel sud del Paese, tra cui la città di Nabatieh, sarebbero morte almeno 12 persone, tra cui membri di Hezbollah. “Abbiamo assistito a un cambiamento preoccupante negli scontri, con attacchi contro aree ben oltre la Linea blu (la linea di demarcazione che separa Libano e Israele)”, ha affermato Tenenti. Secondo il portavoce dell’Unifil, “l’escalation del conflitto ha causato già troppe morti, anche tra i bambini, e ingenti danni a case e infrastrutture pubbliche, mettendo a rischio i mezzi di sussistenza di migliaia di civili”. “La distruzione, la perdita di vite umane e i feriti a cui abbiamo assistito sono fonte di profonda preoccupazione. Invitiamo tutte le parti interessate a cessare immediatamente le ostilità per evitare un’ulteriore escalation”, ha aggiunto Tenenti, evidenziando la necessità di intensificare gli sforzi diplomatici “per ripristinare la stabilità e preservare la sicurezza dei civili che risiedono nei pressi della Linea blu”.

Nella Striscia di Gaza, le Idf hanno arrestato dieci presunti terroristi dentro l’ospedale Nasser, a Khan Yunis, nel sud di Gaza. Lo ha dichiarato il portavoce delle Idf, Daniel Hagari, durante una conferenza stampa. I militari hanno perquisito l’ospedale in seguito alle informazioni dell’intelligence, secondo cui in precedenza vi erano tenuti degli ostaggi e che potrebbero esserci corpi di ostaggi ancora nascosti nel centro sanitario. Tra i detenuti nell’ospedale figurano un autista di ambulanza del movimento islamista Hamas che ha partecipato all’assalto del 7 ottobre, un altro sospettato che ha ammesso di aver preso parte agli attacchi, e un combattente del Fronte di liberazione popolare della Palestina, ha aggiunto Hagari. Nel corso dell’operazione, i militari hanno trovato armi, inclusi esplosivi e mortai, all’interno dei locali dell’ospedale. Il mese scorso, un razzo era stato lanciato dall’ospedale Nasser contro le truppe a Gaza. L’Idf afferma che Hamas mantiene una sala di comando, un complesso di intelligence e sala per interrogatori e una stazione di polizia presso l’ospedale Nasser. Le Idf hanno pubblicato anche il filmato dell’interrogatorio di un miliziano di Hamas catturato, il quale afferma che almeno 10 ostaggi erano tenuti all’ospedale Nasser. Alcuni degli ostaggi rilasciati hanno rivelato di essere stati trattenuti in ospedale.

Sul piano negoziale, il direttore della Cia, William Burns, si è recato questa mattina in Israele per incontri finora non noti con il primo ministro, Benjamin Netanyahu, e con il direttore dell’intelligence, il Mossad, David Barnea. Lo riferisce oggi l’emittente israeliana “Channel 12”, spiegando che hanno discusso del rilascio dei 132 ostaggi israeliani tuttora nelle mani del movimento islamista palestinese Hamas, che li ha rapiti il 7 ottobre. A inizio settimana, Burns aveva incontrato al Cairo Barnea, il capo dell’intelligence egiziana, Abbas Kamel, e il primo ministro del Qatar, Mohammad bin Abdelrahman al Thani, per discutere della cessazione delle ostilità e del rilascio degli ostaggi. Successivamente, Netanyahu ha definito “deliranti” le richieste di Hamas per il rilascio degli ostaggi e, pertanto, ha vietato alla delegazione negoziale di far ritorno al Cairo.

Per quanto riguarda lo scenario futuro, secondo il portale d’informazione statunitense “Axios”, il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, avrebbe detto al segretario di Stato Usa, Antony Blinken, durante l’incontro avuto tra i due lo scorso 7 febbraio, che un riconoscimento diretto o indiretto dello Stato palestinese da parte degli Stati Uniti sarebbe “un premio per chi ha pianificato e messo in atto il massacro del 7 ottobre”. Il riferimento di Netanyahu è alla notizia, pubblicata da alcuni organi di stampa Usa poco prima dell’ultimo viaggio di Blinken in Medio Oriente, secondo cui il segretario avrebbe chiesto al dipartimento di Stato di valutare le diverse opzioni per il riconoscimento di uno Stato palestinese da parte di Washington dopo la guerra in corso nella Striscia di Gaza. Un passo che rappresenterebbe una brusca svolta nella politica da decenni perseguita dagli Stati Uniti in Medio Oriente, secondo cui lo Stato palestinese dovrebbe essere figlio di negoziati diretti con Israele, e che aumenterebbe la pressione sul governo dello Stato ebraico perché accetti una tale prospettiva.

Secondo lo stesso portale “Axios”, a disposizione degli Usa vi sarebbero almeno tre opzioni: il riconoscimento bilaterale dello Stato di Palestina; l’esortazione ad altri Paesi a fare altrettanto; il mancato ricorso al veto per bloccare in sede di Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite l’ammissione della Palestina come Stato membro a tutti gli effetti. Durante l’incontro avuto la scorsa settimana a Gerusalemme con Blinken, Netanyahu si è detto “sgomento” all’idea che gli Usa possano considerare una di queste opzioni. Secondo il premier israeliano, si tratterebbe di un “autogol” che danneggerebbe ogni sforzo dell’amministrazione del presidente Joe Biden per normalizzare le relazioni nella regione. La questione, scrive ancora “Axios”, è stata affrontata anche durante un incontro tra il consigliere alla sicurezza nazionale dello stesso Netanyahu, Tzachi Hanegbi, e il segretario generale del comitato esecutivo dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), Hussain al Sheikh, uno dei più stretti collaboratori del presidente palestinese Mahmoud Abbas. Hanegbi avrebbe detto ad al Sheikh che “non vi è alcuna chance che la guerra termini con una soluzione a due Stati”.

(Nova News)

Recevez notre newsletter et les alertes de Mena News


À lire sur le même thème