(Roma, 29.12.2023). Il portavoce dei pasdaran ha detto che il 7 ottobre, il pogrom di Hamas, è stato una risposta all’eliminazione di Qassem Soleimani, eliminato dagli americani in Iraq nel 2020. Eppure Teheran, i pasdaran e Hezbollah, pur plaudendo, avevano sempre negato ogni loro coinvolgimento diretto…
La clamorosa gaffe del portavoce dei pasdaran, prontamente smentita dai vertici della potente milizia dei “guardiani della rivoluzione” pesa enormemente sulla sua creatura più importante, il Partito di Dio libanese, Hezbollah. La gaffe è presto riassunta: dopo l’assassinio in Siria del generale dei pasdaran Musavi, il portavoce della sua organizzazione di appartenenza ha detto che il 7 ottobre, il pogrom di Hamas, è stato una risposta all’eliminazione del padre politico di Musavi, Qassem Soleimani, eliminato dagli americani in Iraq nel 2020. Eppure Teheran, i pasdaran e Hezbollah, pur plaudendo, avevano sempre negato ogni loro coinvolgimento diretto. Il colpo però è stato subito avvertito da Hamas, che ha rivendicato il carattere dell’azione: reazione all’occupazione, azione tutta palestinese, nulla a che vedere con Soleimani. Lo stesso è stato subito confermato dal comandante in capo dei pasdaran.
L’impianto propagandistico dunque evolve: all’inizio Hamas rivendicava complici, e quindi mirava a coinvolgere Hezbollah e l’Iran, che hanno negato diretti coinvolgimenti per ovvi motivi di autotutela: Hezbollah serve l’Iran e la sua deterrenza, non altri.
Dopo l’eliminazione di Musavi il portavoce dei pasdaran ha mutato lo spartito: chi ci attacca sappia cosa rischia, ha detto in buona sostanza. In questo modo però ha messo in difficoltà anche Hezbollah agli occhi dei libanesi; nelle difficilissime condizioni politiche, culturali, sociali ed economiche in cui si trovano i libanesi l’idea sempre più diffusa che la milizia di Hezbollah esponga il Paese a rischi enormi per interessi altrui non aiuta il partito di Hasan Nasrallah.
Si spiega così quanto ha detto ieri il presidente del consiglio esecutivo di Hezbollah, Hisham Safieddine, dopo la sepoltura di Mohammad Hassan Yaghi, assistente esecutivo di Nasrallah: “Promettiamo a tutti i martiri che questa resistenza resterà tale e quale, onesta e presente, e che nessuna forza al mondo potrà imporci altra logica che non sia quella di difendere gli interessi del Libano e della causa palestinese”.
Hezbollah che ha privato il Libano di una sua politica nazionale di difesa, difende il Libano, ma anche la causa palestinese, e questo oggi funziona alle orecchie di molti, toccati da quanto accade a Gaza e dalla sua gravità. Ma per rendere credibile questa rivendicazione, che la storia non conferma vista la guerra del 2006 e l’intervento in Siria a difesa degli interessi iraniani e ai danni di milioni di musulmani sunniti, Hezbollah dovrebbe procedere sulla via dell’intesa diplomatica mediata dall’inviato americano. Il suo obiettivo da tempo è semplice: definire il confine terrestre tra Israele e Libano (processo in corso) e ottenere il ritiro dei miliziani di Hezbollah al di sopra del fiume Litani, a 30 chilometri dal confine con Israele.
È quanto prevede la risoluzione 1701 che pose fine alla guerra del 2006 ma che Hezbollah non ha mai rispettato. Per farlo oggi però, nelle condizioni attuali, dovrebbe mettere in discussione il secondo passaggio del paradigma di Safieddine, difendere la causa palestinese. In assenza di un accordo, in pendenza di un conflitto feroce, Hezbollah non potrebbe rivendicare una coerenza forte e credibile. Ecco perché il Partito di Dio appare in difficoltà. Non vuole andare avanti esponendo se stessa e l’Iran a reazioni dirette, non può accedere al compromesso se prima non si realizzano condizioni politiche favorevoli per mantenere il proprio “prestigio”, che dovrebbe nascondere la natura di braccio miliziano del regime di Tehran.
Tutto questo però con i guai del Libano e con l’evidente urgenza di dare una nuova dignità non a un leader ma a un popolo intero c’entra poco. Il Libano è stato l’università, la scuola, l’albergo, l’informazione di qualità del mondo arabo. Chi vive a Beirut sa bene che da quando è emerso Hezbollah, con la sua agenda chiaramente iraniana, tutto ciò si è allontanato. L’eliminazione di importanti intellettuali libanesi e arabisti come Samir Qassir (ideologo della primavera araba) e Gebran Tueni, ammazzati a pistolettate nel cuore di Beirut, lo conferma. Erano voci che incarnavano la via del riscatto umanista del mondo arabo intero. Ai loro assassinii si è aggiunta l’eliminazione della più importante voce sciita dissidente, Lockman Slim.
La vera alternativa che servirebbe a tutti è un’altra, ma in queste condizioni il meglio che si può sperare è un contenimento dei danni. Il Libano sta scomparendo, e Hezbollah è certamente parte rilevante del problema, non della soluzione. Per tornare ad essere l’università, la scuola, l’albergo, la libera informazione di qualità del mondo arabo serve una visione, che faccia i conti con le enormi difficoltà del momento, non con gli interessi di un altro regime.
Di Riccardo Cristiano. (Formiche)