(Roma, 17.11.2023). Ha elogiato i progressi ottenuti al termine di una discussione “costruttiva”, per poi rischiare di compromettere l’intera operazione diplomatica definendo il suo ospite un “dittatore”. Al netto delle gaffe e delle “reali divergenze” tra Stati Uniti e Cina impossibili da sanare, almeno per il momento – dal dossier Taiwan alla questione della proprietà intellettuale – tutto sommato per Joe Biden il colloquio con Xi Jinping è andato “molto bene”.
Di fronte alle telecamere, il presidente statunitense si è mostrato soddisfatto di quanto raccolto nelle circa quattro ore di summit con l’illustre ospite. Del resto, se l’obiettivo principale di Washington consisteva nel riattivare le comunicazioni militari con la Cina la missione è più che riuscita, visto che Xi ha esaudito il desiderio di Biden, così come ha acconsentito anche di cooperare con gli Usa sul tema dell’intelligenza artificiale, nella lotta al cambiamento climatico e nel contrasto del traffico illegale di fentanyl.
Eppure, dietro al successo sbandierato di fronte alle telecamere dall’inquilino della Casa Bianca, per gli Stati Uniti potrebbe essere arrivata una vittoria (diplomatica) di Pirro.
La narrazione di Biden
Biden ha più volte affermato di credere che la politica estera sia personale, ovvero collegata al rapporto che lega i singoli leader. Allo stesso tempo ha più volte spiegato di essere un buon amico di Xi. “Ma Xi vede Biden come un amico? Oppure il leader cinese vuole approfittare delle aperture del presidente Usa per ammorbidire la politica americana nei confronti di Pechino?”, si è chiesto il Washington Post, optando per la seconda ipotesi.
Da quando è entrato in carica, nel 2021, Biden ha parlato pubblicamente almeno una ventina di volte delle sue strette relazioni con Xi, forgiate quando entrambi erano vicepresidenti dei rispettivi Paesi. Lo scorso giugno, l’inquilino della Casa Bianca ha persino raccontato di aver trascorso 85 ore, da solo, con il leader cinese e di aver percorso con lui circa 17.000 miglia (comprendenti un viaggio nella Cina rurale, nell’altopiano tibetano).
Anche se la realtà dice che i due abbiano trascorso insieme giusto una manciata di ore e viaggiato per non più di 1.600 miglia, l’aspetto più interessante è capire cosa pensa il presidente cinese della narrazione di Biden. Ebbene, ci sono prove evidenti del fatto che Xi non sia così ottimista riguardo alle relazioni con il suo omologo statunitense.
La trappola di Xi
Dal 2012 al 2016, Xi ha rivelato i suoi veri sentimenti riguardo alle relazioni politiche tra Usa e Cina, inclusa la “convinzione quasi fatalistica” che le relazioni tra le due potenze fossero destinate a peggiorare. Nello stesso periodo, precisamente nel 2015, il leader cinese dichiarava ai suoi funzionari l’esatto opposto di ciò che andava affermando in un vertice tenuto con l’allora presidente statunitense Barack Obama, durante il quale aveva promesso che la Cina non avrebbe militarizzato il Mar Cinese Meridionale.
Come Obama e Biden, anche Donald Trump pensava di avere un’amicizia genuina e stretta con Xi. “Ci amiamo”, si vantava il tycoon all’inizio del 2020, salvo poi attribuire la crisi della loro relazione allo scoppio della pandemia di Covid-19.
Certo, Stati Uniti e Cina devono parlarsi e comunicare da grandi potenze quali sono. L’amministrazione Usa deve però capire se anche la controparte cinese ragiona nei suoi stessi termini. Biden ha ad esempio auspicato di voler cambiare in meglio il rapporto personale con Xi. Questa potrebbe esser stata una gaffe ancora più grande del “dittatore” uscito dalla bocca del leader Usa che ha fatto sbiancare Antony Blinken. Già, perché non è poi così probabile che anche Xi desideri la stessa cosa del presidente americano.
Al contrario, a detta del WP il leader cinese non vorrebbe nient’altro che cullare Washington in un falso senso di sicurezza. Il tutto mentre, da dietro le quinte, la Cina non penserebbe nient’altro che accelerare i suoi piani per dominare l’Indo-Pacifico e cambiare l’ordine globale a vantaggio dei propri interessi. Visione fatalista o meno, tra Washington e Pechino permangono due narrazioni ancora troppo distanti.
Di Federico Giuliani. (Inside Over)