(Roma, 14.11.2023). Cortei pro-terroristi nella capitale palestinese in Cisgiordania. Abu Mazen conta sempre meno
«Lunga vita a Mohammed Deif e al Qassam, al Qassam» urlano centinaia di palestinesi di Ramallah in un tripudio di bandiere verdi di Hamas. Deif è il capo militare del movimento terrorista palestinese responsabile dell’attacco stragista del 7 ottobre in Israele. Le brigate Izz ad-Din al Qassam sono la costola armata. Alla manifestazione arriva pure un prete greco cattolico, che ha vissuto in Italia. Abuna Abdallah Julio in tunica nera e croce d’oro al collo, è convinto che «i palestinesi sono il popolo crocefisso». Alla domanda sulle bandiere di Hamas spiega senza scomporsi: «Siamo tutti partigiani. Anche in Italia durante la seconda guerra mondiale c’erano diverse fazioni. Siamo la resistenza unita».
Non siamo a Gaza, ma nella «capitale» dei territori palestinesi in Cisgiordania. La città dove ha sede la Muqata, il quartier generale del presidente Abu Mazen considerato un moderato. Neppure chi sventola le bandiere gialle di Fatah, il movimento erede dell’Olp di Yasser Arafat, crede che l’anziano leader, asserragliato a Ramallah, sia ancora in grado di far presa sulla popolazione.
La preghiera islamica davanti alla moschea del centro è il catalizzatore della protesta in ogni angolo della Cisgiordania, che rischia di esplodere in un secondo fronte interno dopo Gaza. Bambini, giovani, adulti, anziani e anche un manipolo nutrito di donne velate, rigorosamente separate dagli uomini, sfila nel corteo che punta verso la pizza dei cinque leoni, il centro di Ramallah. «Hamas, Hamas, Hamas» è il martellante grido che sale dalla folla fin dai primi passi. Le bandiere verdi, non sono solo del movimento politico che controlla Gaza, ma pure quelle di guerra delle brigate al Qassam che hanno attaccato Israele scatenando l’invasione della Striscia. I manifestanti alzano il dito indice verso il cielo indicando Allah e urlando «Palestina libera». In Cisgiordania vivono quasi tre milioni di palestinesi, a chiazza di leopardo, con diverse aree di insediamenti dei coloni controllate dall’esercito israeliano. Hamas è radicato nei campi, oramai quartieri, di Jenin, Nablus e Tulkarm, ma l’attacco militare nella striscia sta aumentando a dismisura la popolarità degli estremisti anche in zone considerate più tranquille come Ramallah.
«Perché sono qui ? Abbiamo fatto nostro il messaggio che viene da Gaza. Siamo lo stesso popolo. Basta con i bombardamenti che colpiscono ospedali, moschee, chiese, donne, bambini» spiega il prete melchita in perfetto italiano. Nel nostro paese era in contatto, ai tempi dei governi Craxi e Andreotti, con monsignor Hilarion Capucci attivista filo palestinese arrestato dagli israeliani. «Tutti devono adoperarsi per interrompere questi massacri» sottolinea senza alcun imbarazzo per le bandiere sventolanti di Hamas.
Una giovane ragazza senza velo esterna l’opinione di tanti: «Non vogliamo Abu Mazen, che ha condannato il 7 ottobre. Noi popolo palestinese stiamo dalla parte di chi resiste e morirà per noi». Alla domanda se non teme che lo scenario di Gaza possa svilupparsi in Cisgiordania, dove ogni giorno ci sono morti e feriti, risponde secca: «Non ho paura, perché se non ci immoliamo per la nostra terra non potremo mai essere liberi». Anche fra i manifestanti con i capelli bianchi, che ricordano con rimpianto il laico e filo sovietico Arafat, ci sono pochi dubbi. Un signore sulla sessantina, con cappello e barba brizzolata, spiega: «Sono sempre stato comunista, ma se ora ci fossero le elezioni voterei per Hamas». Non a caso in Cisgiordania il voto è congelato dal 2009.
Nel corteo non mancano i giovani mascherati e sulle bandiere gialle di Fatah ci sono due fucili mitragliatori incrociati con una bomba a mano. I bambini più piccoli sulle spalle dei papà «sparano» con i mitra giocattolo oppure si coprono il volto con i passamontagna mimetici, come quelli utilizzati da Hamas.
«Il 7 ottobre ? Ma no. Siamo noi da anni che veniamo attaccati – sbotta il prete greco cattolico – E poi chi hanno attaccato ? Non erano civili. Si trattava di coloni, militari ben armati». L’unica soluzione per gli ostaggi israeliani a Gaza «è liberare tutti i nostri prigionieri dalle carceri israeliane». E «se non ci saranno due Stati, con Gerusalemme come capitale, almeno la parte orientale, scomparirà Israele».
Di Fausto Biloslavo. (Il Giornale)