Gaza divisa in tre sezioni: cosa prevede il piano di Israele per la Striscia

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(Roma, 28.10.2023). Attaccando da est, l’esercito israeliano spaccherebbe la Striscia in tre parti: una a nord, una al centro e una a sud. Ma gli alleati hanno dubbi sull’efficacia

Iniziano a trapelare le prime informazioni sulla strategia israeliana a Gaza, finora adombrata dai dubbi (anche occidentali) sulle intenzioni dell’esercito di Tel Aviv nell’enclave palestinese. Secondo fonti qualificate citate dall’Ansa, Israele vorrebbe dividere la Striscia in tre sezioni, colpendo Hamas negli avamposti sotto assedio e cercando di ricollocare la popolazione residente a sud, in cerca di cibo. Attualmente le truppe con la stella di David starebbero compiendo un’incursione su larga scala da tre diverse direttrici con lo scopo di isolare il nord, il sud e Gaza City, per obbligare i terroristi palestinesi a riparare verso altre località.

Le tre parti sarebbero quella settentrionale, Gaza City, il centro e l’area che comprende il valico di Rafah, vicino all’Egitto, dove le Idf hanno più volte suggerito agli abitanti delle aree residenziali di evacuare. Per portare a termine quest’operazione, Israele si servirà poi della sua flotta, circondando così i combattenti arabi anche dal mare grazie al pattugliamento delle navi. È inoltre previsto, precisano le fonti, un deterioramento della situazione in Cisgiordania, dove aumentano le proteste non solo nei centri principali quali Ramallah (capitale della Palestina), Jenin, Tulkarem, Hebron e Nablus, ma anche decine di piccoli villaggi.

La scorsa settimana il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, ha anticipato quelle che secondo lui saranno le fasi del conflitto, in ordine cronologico e di priorità: nella prima è in programma un’intensa campagna aerea; a seguire, potrà incominciare una manovra terrestre con mezzi da combattimento e fanteria meccanizzata per distruggere le infrastrutture di Hamas. La fase intermedia sarà quella più lunga, con combattimenti che si prolungheranno anche a bassa intensità per eliminare le ultime sacche di resistenza. Infine, ha assicurato il generale israeliano, l’ultimo step sarà la creazione di un nuovo regime di sicurezza sulla Striscia di Gaza. Ma sull’efficacia di questo ambizioso piano non c’è certezza e resta soprattutto irrisolta la questione degli ostaggi.

Invadendo la Striscia, infatti, rischia di saltare il delicato tavolo delle trattative per il rilascio delle oltre 200 persone in mano agli estremisti palestinesi. E forse l’unica ragione per cui la micidiale offensiva è stata finora ritardata è proprio questa. Così si spiegherebbero in parte anche le pressioni degli Stati Uniti, che da un lato hanno consigliato a Tel Aviv di rimandare l’ingresso a Gaza per poter completare lo schieramento missilistico, aereo e navale nella regione, e dall’altro vorrebbero evitare la violenta esecuzione di cittadini statunitensi. « Gli americani sono impazziti quando hanno capito che non c’era un piano », ha detto una fonte israeliana citata dal Financial Times.

Ci sarebbero poi da considerare le conseguenze umanitarie di un assalto frontale a Gaza: il segretario alla Difesa Usa, Lloyd Austin, ha chiesto e ottenuto dal suo omologo israeliano la protezione dei civili e il passaggio degli aiuti umanitari dentro alla Striscia come garanzia prima di attaccare. Il contrattacco di Israele, nome in codice « Operazione spade di ferro », è quindi ancora in fase di definizione. E a regnare sarebbe l’indecisione.

Di Gianluca Lo Nostro. (Il Giornale)