Il battaglione Azov torna al fronte: dove verrà schierato

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(Roma, Parigi, 17.08.2023). Il battaglione Azov torna al fronte. Lo annunciano le autorità ucraine nella giornata odierna. Le forze legate alla formazione tradizionalmente considerata vicina alla destra nazionalista radicale ucraina e associate nel 2022 alla resistenza dell’acciaieria Azovstal di Mariupol sono tornate in battaglia come “veterane” di un conflitto in cui, al netto dei giudizi politici, sono state indubbiamente capaci di distinguersi lo scorso anno.

Ad annunciarlo oggi è stato il capo del dipartimento di pianificazione della Guardia Nazionale, corpo militare ucraino in cui gli Azov sono inquadrati dal 2015 dopo la fine dell’anno anarchico delle compagnie private del mondo ultra nazionalista, Mykola Urshalovych. Questi ha parlato venendo ripreso dall’emittente nazionale pubblica Suspilne sottolineando che i soldati dell’Azov sono impegnati in delicate missioni di combattimento in Donbass. Secondo quanto Urshalovych riferisce, l’area di operazione sarebbe quella della foresta di Serebryanske, che si trova nella regione di Lugansk ove l’esercito ucraino sta concentrando parte delle forze in vista della nuova fase della sua controffensiva.

Il ritorno in linea di Azov non è una sorpresa, anche se certamente i tempi per la discesa in campo dei veterani di Mariupol sono stati compressi rispetto alle aspettative. I comandanti del battaglione erano stati rimandati l’8 luglio in Ucraina dalla Turchia.

Il governo di Recep Tayyip Erdogan aveva decretato la partenza di Denys Prokopenko, comandante della resistenza di Mariupol consumatasi prima della resa nella primavera del 2022, da Istanbul. Assieme a lui, dopo trecento giorni passati nel Paese anatolico sono partiti i suoi sodali Svyatoslav Palamar, Serhiy Volynsky, Oleh Khomenko e Denys Shleha.

Il portavoce della Guardia Nazionale non ha specificato il numero degli effettivi al fronte né l’ampiezza delle unità coinvolte. A febbraio formalmente Azov si è ricostituito come brigata, dunque come grande unità ma non sappiamo se le truppe al suo interno siano costituite da nuove leve oltre che dai veterani di Mariupol. I prigionieri di Mariupol furono circa 2.500, molti dei quali gravemente feriti e colpiti dalle privazioni dell’assedio. 900 di questi facevano riferimento ad Azov, la cui forza si era ridotta della metà rispetto alle prime operazioni del 2014. A aprile il Washington Post sottolineava che la neonata brigata voleva portare il numero dei combattimenti dell’Azov a 6.500 unità. Non c’è evidenza del fatto che questo obiettivo possa essere stato raggiunto.

In quest’ottica è dunque possibile che del reggimento ultranazionalista che fu criticato in Russia e Occidente per l’estremismo dei suoi membri resti ben poco in termini di ideologizzazione e schieramento politico. Il nome Azov è però fumo negli occhi per la Russia e dichiarazione di schierare un’unità tanto controversa e discussa può servire a mostrare dal punto di vista di Kiev non solo la volontà di vendicare la conquista di Mariupol ma anche quella di spingere apertamente sul netto contrasto alle iniziative russe anche sul fronte della propaganda. Mostrando che il Cremlino non è stato, come ha più volte dichiarato, capace di mettere definitivamente fuori combattimento l’unità la cui esistenza ha nelle intenzioni russe giustificato l’improbabile “denazificazione” con cui la guerra è stata giustificata.

Del resto, le frange più radicali del nazionalismo ucraino non sono mancate di rappresentanza al fronte contro i russi anche in assenza del battaglione Azov. Il New York Times due mesi fa dava conto del proliferare di simboli neonazisti e di estrema destra sulle patch di molti soldati ucraini alla vigilia della controffensiva e anche le dichiarazioni di Shaman, l’ufficiale ombra che comanda l’omonima unità dell’intelligence militare ucraina che si sta distinguendo notevolmente in combattimento dietro le linee russe sono dello stesso tenore. La volontà di Kiev è la resistenza a tutto campo contro i russi arruolando ogni forza possibile: il ritorno in campo di Azov, sul fronte militare, è comprensibile vista la necessità di truppe esperte e rodate in una situazione critica come quella attuale. Quanto alle conseguenze politiche interne in termini di sdoganamento ultranazionalista, il problema resta. Ma appare oggi secondario di fronte alla volontà primaria di Kiev di contenere l’aggressione russa.

Di Andrea Muratore. (Inside Over)