Svizzera, Belgio e l’ombra sulla Svezia: dove può estendersi l’effetto contagio del caos in Francia

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(Roma, 02.07.2023). Le proteste francesi imperversano oramai da diversi giorni e dopo l’uccisione di Nahel M., ragazzo di 17 anni, avvenuta a Nanterre tra il 27 e il 28 giugno ad opera della polizia transalpina la rivolta si è estesa oltre ogni rivendicazione di giustizia. Nella banlieue di Nanterre si è accesa la miccia che in poche ore ha infiammato la Francia, facendo impallidire gli scontri e le violenze dei gilet gialli e degli scioperi generali degli ultimi anni.

La rivolta delle banlieue transalpine appare incontenibile, tanto che da entrambe le parti dello spettro politico sia la testata comunista Liberation che il conservatore Le Figaro stanno lanciando allarmati appelli a non alimentare la narrazione della guerra civile. Ciononostante, la questione è caldissima: c’entra il cocktail letale formato da disuguaglianza sociale, violenza poliziesca, separatismo etnico e radicalismo islamista, c’entra il non riconoscimento reciproco della Republique e delle sue periferie esistenziali. E con un profondo effetto-contagio tutte le enclave etniche formate da minoranze emarginate e a rischio radicalismo anche nel resto dell’Europa continentale sono a rischio di essere messe in sommovimento dalle proteste transalpine. I primi casi sono già evidenti.

Rivolte a Bruxelles e Losanna: i segni di un effetto contagio ?

Nell’Europa francofona e in cui il modello culturale ricalca quello assimilazionista della Francia contemporanea, tanto forte e monolitico sul piano identitario quanto capace di creare scartati e emarginati tra le minoranze e le seconde generazioni di immigrati musulmani, le banlieue sono, non a caso, in ebollizione.

Il primo caso di grande rilevanza è stato quello di Bruxelles, in cui la stagione jihadista dello scorso decennio ha insegnato esiste un diretto collegamento con la radicalizzazione delle periferie francesi. A partire da venerdì 30 giugno la capitale belga e sede delle istituzioni europee si è surriscaldata dopo che, come successo a Nanterre, una “marcia bianca” convocata per protestare contro la brutale uccisione di Nahel è degenerata per la presenza di teppisti e vandali. “Gli scontri hanno avuto luogo, tra gli altri, nel quartiere di Anneessens e dintorni, dove la presenza della polizia è stata massiccia, così come alla Gare du Midi. Sono stati identificati diversi incendi, tra cui rue d’Artois a Bruxelles e place de la Constitution a Saint-Gilles”, ha scritto la testata locale SudInfo.

Sessantaquattro gli arrestati dalla polizia di cui – fatto notevole – quarantotto, cioè i tre quarti, erano minorenni. Le dinamiche che i video comparsi sui social permettono di analizzare sono le medesime: colonne di protestanti a cui si affiancano blackblock e vandali all’attacco di negozi e case, auto date alle fiamme, comparsa di armi in mano ai manifestanti.

Dal Belgio alla Svizzera si arriva a Losanna, città del cantone di lingua francese del Vaud. Nella “capitale” mondiale dello sport, sede del Comitato olimpico internazionale e del Tribunale arbitrale sportivo, 200 persone si sono riunite nella giornata dell’1 luglio dando vita a un contrasto diretto con la polizia. Tv Svizzera ha dato notizia con sconcerto degli avvenimenti; in effetti, a Losanna i quartieri etnici e periferici non sono certamente paragonabili a una banlieue alla francese dove le leggi dello Stato sono messe in discussione. Dunque nella sonnolenta città elvetica la protesta, che ha prodotto sette arresti da parte della polizia del cantone. E l’esplosione imprevista di rabbia lascia presagire che ci sono molti altri contesti incerti da tenere d’occhio in Europa.

Dove può espandersi l’onda delle rivolte

Due i Paesi, oltre la Francia, dove gli occhi devono essere particolarmente puntati. Il precedente di Bruxelles lascia pensare proprio che in Belgio possa esserci la coda più ampia delle rivolte transalpine.

La protesta ha infatti, per ora, lasciata intatta nella capitale belga la principale sacca di malcontento e separatismo etnico-religioso, l’enclave di Moolenbeek alla periferia della capitale belga. Nel centro di circa 90mila abitanti dove a lungo ha preso forma il radicalismo islamista che ha sconvolto l’Europa gli utenti delle giovani generazioni di origine maghrebina postano video sui social, principalmente TikTok, in legittimo ricordo di Nahel e ben più ambiguo avallo alle proteste transalpine che alla giornata dell’1 luglio avevano collezionato, in quattro giorni, 175 milioni di visualizzazioni complessive. Quanto basta per poter, potenzialmente, aprire a una “chiamata alle armi” qualora in Francia gli scontri continuassero.

Da monitorare anche altre due banlieue importanti del Belgio: quelle di Charleroi e Anversa, sul podio delle maggiori del Paese assieme a Moolenbeek, ove il rischio di degenerazioni securitarie è paragonabile a quella di Nanterre e della Francia metropolitana.

Per ora silenti, ma altrettanto da monitorare, sono i quartieri radicalizzati, etnicamente compattati sulle minoranze e spesso costituiti da abitanti poveri e emarginati di un altro Paese, la Svezia, dove negli ultimi anni la questione del separatismo etnico e delle no-go zones interdette perfino alla polizia sta moltiplicandosi. Nel 2021 il report del governo svedese e della polizia identificava 53 zone a rischio di questo tipo, alcune delle quale affette dalle guerre tra gang e dal separatismo identitario che rischia di produrre episodi di conflitto simili a quello di Nanterre: i quartieri di Fittja, Nordborg, Ronna e Alby a Stoccolma sono paragonabili a tante piccole banlieue. Lo stesso dicasi per Nygala, Rosengard e Seved a Malmoe e a Gardsten e Hammarkullen a Goteborg. Tutti territori dove l’effetto-contagio può prendere piede. L’effetto emulazione dato dai social, la rabbia diffusa e l’incapacità dei governi di prevedere il fenomeno concorrono nel poter generare un cocktail pericoloso in tutta Europa. In un contesto in cui il risveglio delle periferie si msotra, a dir poco, preoccupante.

Di Andrea Muratore. (Inside Over)