(Roma, 24.04.2023). Una rissa è scoppiata tra i soldati dell’esercito russo e i miliziani del gruppo Wagner e si è trasformata in una sparatoria nella città occupata di Stanytsia Luhanska, nella regione di Luhansk. Secondo lo stato maggiore ucraino, ci sono state vittime da entrambe le parti: «Stanno cercando di scaricare l’una sull’altra la responsabilità dei propri errori di calcolo tattici e delle proprie perdite».
Intanto, il leader ceceno Ramzan Kadyrov annuncia che truppe cecene «sono andate nella zona delle operazioni speciali».
È bufera dopo le parole dell’ambasciatore cinese in Francia, Lu Shaye, pronunciate durante un’intervista al canale tv Lci. «Nel diritto internazionale, anche questi Paesi dell’ex Unione Sovietica non hanno lo status effettivo perché non esiste un accordo internazionale per materializzare il loro status di Paese sovrano». Non una novità per Lu, che spesso si è trovato a doversi difendere a seguito di valutazioni discutibili, ma sicuramente un colpo alla credibilità di Pechino e alle sue velleità di mediazione tra l’Ucraina e la Russia. Altrettanto scivolosa è stata la risposta data da Lu alla domanda in cui gli si chiedeva se, secondo la sua visione, la Crimea fosse parte dell’Ucraina. «Dipende», ha risposto il diplomatico cinese, sostenendo che bisogna analizzare il modo in cui si percepisce il problema: per lui «non è così semplice» stabilire a chi appartiene la penisola che affaccia sul Mar Nero, perché «era russa all’inizio». Argomenti che, nel pieno dell’aggressione di Mosca ai danni dell’Ucraina, sono diventati virali sui social media e che hanno inevitabilmente suscitato una dura reazione da parte dei Paesi baltici. Per il ministro degli Esteri della Lettonia, Edgars Rinkēvičs, le parole di Lu «sono completamente inaccettabili», mentre il nuovo ministro degli Esteri estone, Margus Sahkna, le ha definite «false e un’errata interpretazione della storia», aggiungendo che «per il diritto internazionale, gli Stati baltici sono sovrani dal 1918, ma sono stati occupati per cinquant’anni».
Diventano un caso anche i visti negati dagli Usa ai giornalisti russi a seguito del ministro degli Esteri Serghei Lavrov, atteso nelle prossime ore a New York per la riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, di cui la Russia è presidente di turno già fra mille polemiche. «Non dimenticheremo e non perdoneremo. Sapevo che i colleghi americani sono rinomati per fare questo tipo di cose ma ero sicuro che questa volta, vista l’elevata attenzione, sarebbe stato diverso. Mi sbagliavo», ha tuonato Lavrov prima di lasciare Mosca.