(Roma, 20.04.2023). Il via libera del dipartimento di Stato americano alla vendita alla Turchia dei kit per modernizzare la flotta di F-16 è un segnale da non sottovalutare. L’affare da 259 milioni di dollari è parte di una partita molto più ampia tra Turchia e Stati Uniti, in cui l’aggiornamento dei caccia può essere considerato solo il primo passaggio.
Sul tavolo, Ankara e Washington hanno soprattutto in sospeso la vendita di 40 nuovi F-16 di ultima generazione. L’accordo, raggiunto in modo più o meno definitivo tra i due governi, è stato bloccato dal Congresso Usa. Qui si sono unite almeno due anime, quella delle lobby anti-turche, più potenti di quella filo-Ankara, e quella che ritiene invece soprattutto necessario mandare un segnale a Recep Tayyip Erdogan escludendo di rafforzare la sua flotta aerea fino a che non siano chiariti i rapporti con l’Alleanza Atlantica e soprattutto i suoi affari con Mosca.
La Casa Bianca, nonostante gli screzi tra Joe Biden ed Erdogan, sembra intenzionata ad andare avanti. Ma la palude parlamentare Usa al momento non è facile da superare, e non è detto che questo sia in realtà un vero problema per l’amministrazione democratica, dal momento che il blocco sugli F-16 può essere uno strumento di pressione fondamentale sull’amico-nemico di Ankara.
Non è un caso, del resto, che il placet del governo statunitense sia arrivato due settimane dopo la ratifica, da parte del parlamento turco, dell’adesione della Finlandia alla Nato. Il veto di Ankara non era mai stato così solido come quello manifestato nei confronti della Svezia, colpevole, a detta turca, di affinità con i curdi del Pkk. Tuttavia forse è proprio questo il significato da dare a questo primo “ok” da Washington. Il negoziato sembra essere incardinato su un classico “do ut des” in cui le concessioni reciproche si basano sul peso specifico dei singoli atti. La modernizzazione degli F-16 turchi, con la cessione di kit e dei software, è andata di pari passo col via libera a Helsinki nella Nato. È dunque possibile, per quanto non certo, che un ulteriore step per la vendita dei nuovi 40 caccia Usa alla Turchia venga data nel momento in cui Erdogan darà l’ok all’adesione della Svezia nell’Alleanza Atlantica. Tutto questo, data anche la delicata corsa del “Sultano” alla rielezione, potrebbe avvenire almeno dopo maggio, per evitare di fornire armi di propaganda a Erdogan e allo stesso tempo, da parte turca, per sostenere le posizioni nazionaliste.
In attesa della risoluzione dell’affaire-Svezia, i kit Usa comportano in ogni caso un salto di qualità necessario all’aviazione turca, segnata soprattutto dallo stop di Washington al coinvolgimento nel programma F-35 dovuto all’acquisto del sistema russo S-400. Ankara, per ovviare a questa brusca frenata nel programma aereo, si è concentrata in particolare sui droni di produzione indigena, come dimostrato anche dalla conversione della portaerei Anadolu in una sorta di grande piattaforma navale per velivoli a pilotaggio remoto. Allo stesso tempo, però, gli F-16 rappresentano la spina dorsale delle forze aeree turche ed è fondamentale per il Paese modernizzare una flotta che rischia di diventare obsoleta.
Di Lorenzo Vita. (Il Giornale/Inside Over)