(Roma, 21.04.2023). Il paradigma del terrore. Nel paese africano arriva l’ultima fornitura di munizioni russe ai “miliziani ribelli”, impuniti come i mercenari di Prigozhin. Mentre i cadaveri nelle strade sono sempre più visibili, gli Stati Uniti e l’Ue stanno preparando i piani di evacuazione
“Abbiamo 750 ceste di cibo, ognuna è sufficiente per una famiglia di sei persone”; “se avete bisogno di acqua contattateci a questo numero”; “attenzione, i miliziani ribelli hanno fatto irruzione nella zona industriale”. Questi sono alcuni dei tanti messaggi che circolano sui social: sudanesi che aiutano altri sudanesi, la solidarietà di chi si trova da un giorno all’altro barricato in casa, terrorizzato, e costruisce una rete di aiuto e sostegno – ennesima dimostrazione di quanto sia vivace e attiva la società civile del Sudan esclusa con la forza dai golpisti al potere. Questa solidarietà di piccoli gesti risulta ancora più straziante se la si scopre mentre si moltiplicano le immagini del terrore scatenato dai “miliziani ribelli”, o “gli psicopatici”, cioè le Rapid support forces (Rsf) guidate da Mohamed Hamdan Dagalo detto Hemedti, il nuovo nome dei janjaweed, mercenari senza regole e senza legge che vogliono il potere.
Un cittadino americano è rimasto ucciso, gli Stati Uniti e l’Unione europea stanno preparando i piani di evacuazione, ci sono almeno 400 morti e più di tremila feriti, i cadaveri nelle strade sono sempre più visibili, mentre la possibilità di una mediazione non si vede affatto. Sono stati siglati due cessate il fuoco da quando è iniziato il regolamento di conti tra le Rsf e l’esercito regolare guidato dal presidente di fatto del Sudan, Abdel Fattah al Burhan, il golpe nel golpe del 15 aprile, ed entrambi sono stati violati. I sudanesi, che certo non amano l’esercito che è emanazione del regime di Omar al Bashir rovesciato nel 2019 dopo trent’anni, hanno però il terrore delle Rsf, che sono capaci di una violenza gratuita e bestiale alimentata dal fatto di essersi sempre sentite – ed essere state – impunite.
Alcune immagini satellitari pubblicate dalla Cnn mostrano che le Rsf di Mohamed Hamdan Dagalo hanno appena ricevuto una fornitura di munizioni patrocinata dalla Russia, via Wagner, la forza mercenaria di Evgeni Prigozhin che opera in questa regione in modo quasi indisturbato. Le Rsf avevano bisogno di rafforzarsi per affrontare una battaglia più lunga e più urbana: in questo modo il loro assalto a dieci città in contemporanea e lo scontro contro l’esercito regolare possono continuare, nell’impunità.
I janjaweed esistono da molto più tempo rispetto alla Wagner, che formalmente nasce con la prima invasione dell’Ucraina nel 2014 (i famosi “omini verdi” di cui Vladimir Putin negava l’esistenza), ma si sono trasformati nel tempo e da gruppo paramilitare locale sono diventati una brigata transnazionale, ingaggiata da altri paesi della regione, in particolare da sauditi ed emiratini, e ovviamente dalla Wagner (che ha però anche fatto da consulente a Bashir, nell’ultima fase del suo regime). Riad e Abu Dhabi hanno fornito armi, formazione e soldi per poi schierare i janjaweed dove avevano bisogno, soprattutto in Yemen e in Libia, e poi la Russia è arrivata a dare il suo appoggio. Così oggi i miliziani sono molto più esperti, molto più equipaggiati, sempre più spietati e spingono l’eventuale giustizia internazionale in un buco nero: chi è responsabile di questi mercenari, il paese d’origine? il paese che li ha ingaggiati? il paese in cui combattono? Questa natura transnazionale, che è propria della Wagner ma anche dei gruppi terroristici come lo Stato islamico, apre spazi per ingerenze di ogni tipo. L’ex capo dell’intelligence sudanese ai tempi di Bashir, Salah Gosh, dice senza avere dubbi che gli Emirati hanno preparato l’assalto delle Rsf, che avevano un “centro di comando” ad Abu Dhabi. Gosh non è una fonte neutra, essendo un islamista che è stato a capo del sistema di torture del regime per molti anni, ma l’ipotesi della regia degli Emirati circola parecchio. Assieme alle armi che arrivano grazie alla Russia dalla Libia (qui ci sono le immagini) e alla difficoltà di trovare una via d’uscita, perché come dice il grande esperto Cameron Hudson, “l’esercito regolare, le Rsf e i loro sostenitori hanno una visione troppo diversa del Sudan” per trovare un terreno comune che non sia quello della brutalità.
Di Paola Peduzzi. (Il Foglio)