(Roma, 26.03.2023). « In primavera ci sarà un’altra guerra. E questa volta speriamo sia l’ultima ». Queste parole venivano sussurrate lo scorso gennaio nel corridoio di Lachin, presidiato per mesi da ecologisti azerbagiani. Non un blocco totale, sia la croce rossa sia i peacekeepers russi potevano muoversi liberamente, ma certamente un presidio. Costante e determinato. Ora la primavera è arrivata e, con essa, anche l’incubo di un nuovo conflitto in Karabakh. Forse l’ultimo. O forse l’ennesimo di una guerra iniziata ormai trent’anni fa che ha già mietuto decine di migliaia di vittime. Le responsabilità, come spesso accade in quest’area, rimbalzano continuamente da una parte e dall’altra.
Un comunicato diffuso dal ministero della Difesa russo fa sapere che « il 25 marzo 2023, un’unità delle forze armate azere ha attraversato la linea di contatto nel distretto di Shusha, in violazione dell’accordo raggiunto nel 2020 ». Baku, però, rispedisce l’accusa al mittente e afferma che « le unità dell’esercito azerbaigiano hanno adottato adeguate misure di controllo al fine di impedire l’uso per attività illegali di strade non asfaltate a nord della strada Lachin, nonché un’ulteriore escalation della situazione e potenziali provocazioni dovute al trasporto di armi e munizioni nei territori dell’Azerbaigian da parte dell’Armenia ».
Da mesi infatti, secondo l’Azerbaigian, l’Armenia starebbe intensificando « il trasporto di personale militare, armi e munizioni, mine antiuomo, nonché altro equipaggiamento militare (…) nel territorio dell’Azerbaigian, dove è temporaneamente dispiegato il contingente russo di mantenimento della pace. Inoltre, negli ultimi giorni, l’attivazione di lavori stradali illegali da parte di armeni sulla strada Khankendi-Khalfali-Turshsu e sulla strada Khankendi-Kosalar-Mirzeler-Turshsu che passa a nord di questo percorso, è stata registrata da appositi mezzi di sorveglianza ». A inizio mese, inoltre, si sono registrati morti sia da parte armena sia da quella azerbagiana.
« Una volta Mosca aveva delle basi militari in Azerbaigian, ora non più », raccontava una fonte governativa di Baku lo scorso gennaio. « Adesso restano solamente i soldati che vedi, ma un giorno non ci saranno più nemmeno loro e la nostra sovranità sarà totale », proseguiva l’uomo. Quel giorno sembra essere arrivato. Ad essere sconfitti, infatti, nel caso di una guerra in Karabakh, saranno innanzitutto i russi. Il Caucaso, il cortile di casa di Vladimir Putin, rischia di incendiarsi. E di aprire un nuovo e pericoloso fronte per Mosca.
Di Matteo Carnieletto. (Il Giornale)