(Roma, 13.03.2023). L’accordo tra Iran e Arabia Saudita mediato da Pechino priva il leader israeliano del suo nemico n.1, proprio nel momento in cui è più in difficoltà sul fronte interno. Gli Stati Uniti incassano un ridimensionamento del loro ruolo, ma a beneficiarne potrebbe essere paradossalmente l’accordo tra Occidente e Teheran sul nucleare
Non li hanno visti arrivare, come recita una frase in voga in Italia. Né il premier israeliano Benjamin Netanyahu né il presidente Usa Joe Biden avevano ricevuto segnali che due acerrimi nemici come Tehran e Ryad avevano deciso – con la garanzia della Cina – di riaprire i rapporti diplomatici dopo 7 anni di gelo e sanguinose guerre per procura come nello Yemen. Visibile la sorpresa di Netanyahu, in visita a Roma più per l’anniversario di matrimonio che non per una decente proposta diplomatica, quando il suo consigliere per la sicurezza nazionale gli ha bisbigliato la notizia all’orecchio. Il sogno di Israele di formare un’alleanza araba contro l’Iran è andato così in frantumi venerdì scorso con la notizia che l’Iran e l’Arabia Saudita hanno concordato di ristabilire le relazioni diplomatiche entro due mesi. È certo che l’annuncio è carico di significato e ridisegnerà la mappa del Medio Oriente ridefinendo gli amici e i nemici e avrà riverberi globali. L’accordo fornisce all’Iran la legittimità tanto necessaria nel mondo arabo e potrebbe portare a ulteriori accordi con Stati arabi come l’Egitto dopo quelli con Kuwait e Abu Dhabi, aprire la strada alla fine della guerra nello Yemen, offrire una soluzione praticabile alla crisi in Libano e persino portare a una ripresa dei negoziati per salvare l’accordo con l’Occidente sul nucleare.
La scorsa settimana il Wall Street Journal aveva scritto che l’Arabia Saudita aveva chiesto garanzie di sicurezza e assistenza agli Stati Uniti per costruire il suo programma nucleare civile come condizione per normalizzare i legami tra il regno arabo e Israele. Ma il Congresso degli Stati Uniti ha bloccato tale assistenza. Così sembra che l’Arabia Saudita abbia trovato rapidamente una soluzione in Cina, con la quale ha firmato nel 2017 un memorandum per la costruzione di un reattore nucleare. In ogni caso, i sauditi hanno posto agli Stati Uniti un serio dilemma: aiutare l’Arabia Saudita con il suo programma nucleare civile e potenzialmente ottenere il suo sostegno per un accordo con Israele o lasciare che la Cina ne raccolga i frutti economici e politici.
Prendendosi il merito di aver concluso un accordo di pace in Medio Oriente, il presidente cinese Xi sta approfittando del declino dell’influenza americana nella regione e presenta la leadership cinese come un’alternativa a un ordine guidato da Washington che descrive come la guida del mondo verso una nuova “guerra fredda”. La visione di Xi è quella che strappa il potere a Washington a favore del multilateralismo e della cosiddetta non interferenza, una parola che la Cina utilizza per sostenere che le nazioni non dovrebbero immischiarsi negli affari interni degli altri, criticando le violazioni dei diritti umani, per esempio. Anche la Cina è interessata alla stabilità della regione. Pechino riceve oltre il 40% delle sue importazioni di greggio dalla regione. Inoltre, il Golfo è emerso come un nodo chiave lungo le rotte commerciali della Belt and Road Initiative, nonché un importante mercato per i beni di consumo e la tecnologia cinesi. Il colosso cinese delle telecomunicazioni Huawei fornisce reti 5G in Arabia Saudita, Qatar, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti.
Pechino ha anche cercato di enfatizzare un piano chiamato Global Security Initiative, introdotto per la prima volta da Xi un anno fa, che descrive come uno sforzo per applicare “soluzioni e saggezza cinesi” alle maggiori sfide alla sicurezza del mondo. L’iniziativa, che riprende il linguaggio dell’era Mao sulla promozione della “coesistenza pacifica”, richiede un nuovo paradigma in cui il potere globale sia distribuito in modo più equo e il mondo respinga “l’unilateralismo, il confronto tra blocchi e l’egemonismo” – un riferimento chiaro agli Stati Uniti e alleanze militari come la Nato. La Cina è diventata un importante alleato strategico dell’Iran, con cui ha firmato un accordo di cooperazione economica da 400 milioni di dollari in 25 anni. Ma sia la Cina che l’Iran sanno che realizzare il potenziale della loro alleanza dipende dalla firma di un nuovo accordo nucleare. La Cina è entrata nella mischia come mediatore tra Iran e Arabia Saudita per costruire un’alleanza che serva gli interessi di tutti e tre senza bisogno dei servizi o delle assicurazioni degli Stati Uniti. Ancora più importante, la Cina sta prendendo il posto degli Stati Uniti come potenza economica e strategica nella regione. Un potere su cui Israele ha decisamente poca influenza. Benjamin Netanyahu, che ha basato tutta la sua politica degli ultimi anni agitando lo spettro dell’Iran per farsi dare le armi dagli Usa, che nel 2012/2013 sempre da premier fu a un passo dal bombardare i siti nucleari iraniani, si trova d’un tratto senza nemico, con un Paese in rivolta per le leggi “golpiste” che vuole imporre con i suoi alleati dell’ultra-destra e la Cisgiordania in fiamme per le continue operazioni dell’esercito contro i nuovi gruppi armati palestinesi. “The Magician”, come lo chiamano i suoi adoratori, stavolta potrebbe non trovare più il coniglio nel cilindro.
Di Fabio Scuto. (Il Fatto Quotidiano)