Droni ai russi e raid a Isfahan: i Pasdaran nel mirino

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(Roma, 14, 02,2023). L’Iran continua a essere sotto i riflettori per le consegne di droni alla Russia. L’ultima testimonianza arriva dal britannico Guardian, secondo cui Teheran avrebbe utilizzato aerei di una compagnia statale e navi nel Mar Caspio per consegnare ai russi i velivoli di cui avevano bisogno. L’esclusiva dell’inviato del Guardian cita funzionari interni alla stessa Repubblica islamica che hanno confermato che “almeno 18 droni sono stati consegnati alla marina di Vladimir Putin” dopo un incontro tra ufficiali e tecnici iraniani e russi a Teheran a novembre. Di questi 18 droni, sei sarebbero stati Mohajer-6 mentre 12 i droni Shahed 191 e 129: modelli quindi diversi da quelli impiegati finora in Ucraina dalle forze russe e che sono stati in larga parte Shahed 131 e 136.

La ricostruzione del quotidiano britannico fornisce almeno altri quattro elementi fondamentali, oltre alla comprensione dei mezzi acquisiti da Mosca: utile a far comprendere come i droni non siano stati presi solo per missioni “kamikaze”.

Il primo è il percorso dei droni, in larga parte attraverso il Mar Caspio. Una via d’acqua sicura, sia per l’Iran che per la Russia, condiviso dalle due potenze e privo di ostacoli o di possibilità di interferenze da parte delle intelligence occidentali. L’operazione di scambio, secondo le indiscrezioni, avveniva con una nave iraniana che poi trasferiva i droni su un’unità russa.

La seconda questione è legata all’invio dei tecnici in Russia per l’utilizzo dei velivoli. Fino a questo momento si era parlato quasi esclusivamente dei droni senza specificare l’impiego di personale di Teheran in territorio russo (o forse anche ucraino). Secondo le fonti iraniane del Guardian, invece, sarebbero giunti in territorio russo più di 50 specialisti degli Ayatollah, confermando quindi una comunicazione e un coordinamento continui tra i due Paesi al netto delle giustificazioni e delle smentite usate da parte iraniana.

Il terzo elemento riguarda invece la gestione di questa operazione che, secondo il giornale britannico, sarebbe stata nelle mani dei Pasdaran e non di altre forze iraniane. Questa specifica non è di poco conto, perché da diversi anni i Guardiani della Rivoluzione rappresentano i veri avversari degli Stati Uniti e di Israele non soltanto in Medio Oriente, ma in generale nel mondo. La rete di influenze e di alleanze iraniane viene sostanzialmente ricondotta più all’opera dei Pasdaran che a quella della diplomazia e delle forze armate o ad altri apparati della Repubblica. Il corpo dei Guardiani si è trasformato nel tempo in uno Stato nello Stato che ha a sua volta precise strategie, agende politiche e reti di alleanze e proxy. Israele e Stati Uniti hanno da tempo messo nel mirino i vertici dei Pasdaran, ritenendo formalmente il corpo delle guardie della rivoluzione un’organizzazione terroristica. La pressione internazionale unita alla repressione delle proteste in Iran ha innescato una serie di discussioni anche nel Regno Unito e nel Parlamento europeo (che li considera tali da gennaio). In ogni caso, sono loro uno dei grandi protagonisti della sfida tra Israele, Stati Uniti e Iran. E le accuse sul loro ruolo nell’invio di droni usati poi contro l’Ucraina potrebbe essere un ulteriore tassello per colpirli attraverso sanzioni e non solo.

Infine, e forse uno degli elementi più importanti dell’inchiesta, sembra che i droni inviati in Russia a novembre fossero fabbricati proprio nel sito colpito dal raid del 28 gennaio, e cioè l’impianto di Isfahan. Dalle prime ore dell’attacco, avvenuto anch’esso – sembra – attraverso droni armati, si è parlato di quel sito militare come uno dei punti nevralgici della produzione di droni iraniani. Secondo la maggior parte degli osservatori, dietro l’attacco vi sarebbe stata l’intelligence israeliana, anche se tanti hanno sottolineato che potrebbe esserci stato il contributo degli Stati Uniti e di un “terzo Paese”. Israele, come suo solito, non ha mai confermato né tantomeno smentito le accuse rivolte nei suoi confronti per essere l’autore del raid di Isfahan: ma il fatto che quel sito venisse utilizzato per poi inviare i droni in Russia contribuisce ad alimentare i sospetti su un coordinamento con Washington. Del resto proprio in quei giorni il direttore della Cia, William Burns, era impegnato in un viaggio in Israele e nei Territori palestinesi e le forze Usa si addestravano con quelle dello Stato ebraico in un’imponente esercitazione militare. Le tempistiche avevano sollevato più di un sospetto.

Di Lorenzo Vita. (Il Giornale/Inside Over)