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Il terremoto che rischia di cambiare il Medio Oriente

(Roma, 06.02.2023). Il tremore che ha scosso i terreni e le vite di milioni di persone tra Turchia e Siria è destinato ad avere conseguenze che vanno ben oltre quelle, già molto gravi, dell’immediata emergenza. Un cataclisma di tali proporzioni, generato da uno dei più forti terremoti dell’era moderna nell’area mediterranea, non può non avere ripercussioni in una regione, quale quella mediorientale, già di per sé molto fragile a livello politico.

La scossa delle scorse ore quindi rischia già oggi di essere quel nuovo elemento di instabilità del medio oriente, in grado di aggiungersi alle conseguenze derivanti dagli strascichi della pandemia, dalla guerra in Ucraina e dal rincaro dei prezzi dei generi di prima necessità.

Trema la presidenza di Erdogan

Il terremoto è arrivato nel pieno di un’infuocata campagna elettorale. Il 14 maggio infatti la Turchia andrà al voto sia per le presidenziali che per le parlamentari. Un voto cruciale, dove la rielezione dell’attuale presidente, Recep Tayyip Erdogan, non è affatto scontata. Il “sultano” nelle grandi città ha perso terreno, nelle amministrative del 2019 il partito fondato dal presidente ha perso a Istanbul, ad Ankara e a Smirne. La tensione è molto alta e a dimostrarlo è stata anche la condanna a due anni per il sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, possibile principale rivale di Erdogan.

La scossa per il presidente turco è un banco di prova fondamentale. La sua leadership potrebbe uscirne definitivamente consacrata oppure, al contrario, definitivamente ridimensionata. La risposta che il governo saprà dare alle immediate emergenze sarà la chiave di volta per comprendere le prossime dinamiche elettorali. Il rischio molto forte per Erdogan è che un Paese già sotto pressione economica, non del tutto ancora uscito dalla crisi post pandemia e con un’inflazione arrivata all’83% su base annua, possa non avere tutte le risorse occorrenti per reggere l’impatto del terremoto.

La Turchia ha già subito nel recente passato altri sismi devastanti. A partire da quello di Izmit del 1999, l’ultimo prima dell’inizio dell’era Erdogan. In quell’occasione sono morte 17.000 persone, un bilancio che potrebbe tragicamente assomigliare a quello di oggi. La macchina dei soccorsi turca ha quindi molta esperienza e potrebbe reagire prontamente. Ma per l’assistenza, la sistemazione degli sfollati e per la gestione dell’intera fase emergenziale Ankara potrebbe andare in difficoltà. E questo potrebbe ulteriormente erodere il consenso al presidente uscente. Erdogan è quindi ben consapevole dei rischi e dell’importanza di agire quanto prima, presentandosi a maggio già con precisi piani di ricostruzione.

Le conseguenze nel conflitto siriano

Anche se l’epicentro è stato in Turchia, il sisma potrebbe aver prodotto le peggiori conseguenze nel nord della Siria. Immagini di crolli e devastazioni nelle ultime ore sono arrivate anche da Aleppo e Latakia, città distanti più di 200 km dal « cratere » del terremoto. La Siria è dal 2011 alle prese con la guerra civile. E le regioni coinvolte dal sisma sono quelle in cui il conflitto è ancora ben presente. Una delle province più distrutte è quella di Idlib, l’unica al momento fuori dal controllo del governo di Damasco.

La storia insegna che quando dei cataclismi coinvolgono dei territori in guerra, le conseguenze sulle dinamiche politiche e militari ruotanti attorno al conflitto sono ben evidenti. Lo si è visto più di recente nel sud est asiatico, quando lo tsunami del 26 dicembre 2004 ha inciso su ben due conflitti civili presenti nell’area: quello di Sumatra e quello dello Sri Lanka. Nel caso indonesiano, la catastrofe ha accelerato colloqui di pace tra governo e ribelli, nel caso singalese invece ha acuito ulteriormente l’astio reciproco.

Il terremoto delle scorse ore ha buttato giù interi villaggi in tutto il nord della Siria, sia nelle aree sotto controllo governativo che in quelle in mano ai miliziani dell’opposizione. Una tragedia comune che potrebbe imporre risposte comuni per evitare un elevato numero di vittime, la formazione di improvvisati campi per gli sfollati e l’insorgenza di epidemie e malattie tra chi ha perso la casa. Al tempo stesso però, proprio una condizione ancora sociale più precaria, potrebbe rivelarsi il detonatore di ulteriori tensioni capaci di far ripartire con maggiore violenza il conflitto. Certo è che, in un modo o nell’altro, il terremoto avrà un importante impatto sulla guerra siriana.

Una nuova piaga sulla regione

Occorre poi considerare il problema nel suo complesso, andando oltre i confini turchi e siriani. Se l’epidemia da coronavirus e la guerra in Ucraina, due crisi che hanno avuto origine fuori dal medio oriente, stanno ancora oggi influenzando la vita politica della regione, è lecito pensare che un terremoto così catastrofico come quello di oggi potrebbe rappresentare una nuova piaga per tutti i Paesi dell’area.

Una Turchia indebolita o una Siria ancora più instabile sono elementi in grado di rendere ancora più instabile l’intero mosaico mediorientale. In queste ore si sta scavando per strappare dalla morte migliaia di persone sotto le macerie. Ma già da domani le conseguenze politiche e sociali del sisma presenteranno un conto ancor più salato per l’intero medio oriente.

Di Mauro Indelicato. (Il Giornale/Inside Over)

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