Dopo il raid, la rappresaglia ? Come potrebbe rispondere l’Iran

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(Roma, 01.02.2023). L’Iran non sembra avere dubbi: le indagini continuano, ma per gran parte del sistema politico e militare c’è Israele dietro gli attacchi condotti sul territorio della Repubblica islamica, di cui uno, a Isfahan, ha centrato un importante sito militare. Una fonte di Teheran intervistata dall’emittente Al Jazeera ha affermato un punto essenziale: “Israele sa benissimo che riceverà una risposta, come è successo in passato”. E questo anche se diverse fonti, principalmente arabe, parlano di una responsabilità di più autori, tra cui gli Stati Uniti.

Sul punto è sempre difficile identificare in molto netto dove finisca la propaganda e dove inizi invece la minaccia reale. È chiaro che l’Iran, in questo momento, ha due esigenze: dimostrare che gli attacchi non hanno inferto danni ingenti e soprattutto incolpare quello che per il sistema degli Ayatollah è il principale avversario regionale, Israele. In questo duplice binario della diplomazia iraniana, avvertire lo Stato ebraico di aspettarsi una risposta è il primo segnale di un modo che hanno i funzionari locali sia di distogliere l’attenzione sui buchi della propria intelligence, sia di compattare un fronte interno particolarmente spaccato da mesi di proteste e crisi.

Non è detto che Teheran decida per una rappresaglia

E non va nemmeno escluso che Teheran possa anche decidere di non reagire a questo attacco. In parte per evitare una potenziale escalation regionale che diventerebbe molto rischiosa anche per la propria stabilità. Lo stesso funzionario sentito da Al Jazeera ha detto che “coloro che giocano con il fuoco sono i primi a bruciarsi se decidono di iniziare una guerra regionale”, facendo capire che il rischio è reale ma senza che Teheran abbia interesse a concretizzarlo. E del resto Teheran ora ha bisogno di tutto fuorché di incendiare la regione provocando ulteriori perdite economiche e l’inevitabile frattura di già fragili partnership. In parte, la rappresaglia potrebbe mancare per la mancanza di strumenti in grado di colpire in modo uguale e contrario i responsabili. Infine, l’Iran potrebbe avere interesse a evitare una reazione troppo “visibile”. In questo senso, interessante l’appunto di Meir Litvak ad Adnkronos sul fatto che Teheran potrebbe pensare a una risposta in scenari lontani dai radar mediorientali, dove comunque è attiva la rete di interessi di Israele.

La guerra ombra e il livello cyber

Fatta questa premessa, la minaccia iraniana va comunque inquadrata come un rischio concreto da parte di Israele. E questo perché da diversi anni, da quando è iniziata questa guerra “ombra” tra i due Paesi, abbiamo assistito ad attacchi e sabotaggi, operazioni chirurgiche e omicidi eccellenti sempre avvolti nel mistero, così come al coinvolgimento di partner locali e alleati. Una conflittualità latente che si inserisce in quadro regionale non solo profondamente inquieto, ma anche ricco di potenziali luoghi, sia fisici che cibernetici, in cui può rivolgersi una possibile azione di uno Stato. E quindi anche la reazione da parte del Paese colpito.

L’Iran, da parte sua, ha già dimostrato di avere delle opzioni credibili con cui colpire Israele e su livelli molto diversi fra loro. Escludendo ipotesi di attacchi diretti contro lo Stato ebraico (che non ha rivendicato né rivendicherà probabilmente mai l’attacco), una prima possibile reazione può essere quella legata ad attacchi cibernetici contro le infrastrutture israeliane. Non sarebbe una novità: Teheran in questi anni ha rafforzato in modo sensibile le proprie capacità di svolgere attacchi nel dominio cibernetico, e lo hanno confermato diversi eventi che hanno coinvolto non solo direttamente lo stesso Israele, ma anche avversari regionali come l’Arabia Saudita. Dai siti governativi alle applicazioni fino alle reti idriche, le unità cyber dell’Iran o gruppi a esse collegati (si pensi al Black Shadow) hanno bucato le reti di sicurezza avversarie mostrando notevoli capacità di manovra contro un avversario altamente preparato.

Il nodo dei partner regionali

Altro possibile scenario è quello dell’attivazione dei proxy iraniani ai confini o all’interno di Israele. Prima dell’attacco a Isfahan, nella Siria orientale sono stati distrutti diversi camion pieni di armi iraniane. Secondo alcune fonti, sarebbe stata opera di un attacco con droni, mentre altre parlano di aerei non identificati. Quello che è certo, è che l’intera area siriana è un campo di battaglia in cui le milizie sciite e le forze di Teheran si muovono più o meno liberamente e dove agiscono anche le unità dell’aviazione israeliana sotto gli occhi vigili ma cauti della Russia. Anche in Libano, attraverso il partito-milizia di Hezbollah, l’Iran ha strumenti in grado di mettere sotto pressione il confine settentrionale di Israele. E non vanno sottovalutati anche i legami costruiti in questi anni tra Iran e Jihad islamica palestinese.

Il fronte navale del conflitto

Infine, un ruolo fondamentale lo hanno anche le possibili implicazioni su un’altra dimensione della “guerra ombra”: quella navale. Dal Golfo Persico a quello di Aden, dal Mar Rosso fino al Mediterraneo orientale, sono numerosi gli episodi che hanno coinvolto imbarcazioni iraniane e navi in qualche modo legate a Israele. Dai sabotaggi ai sequestri fino ad attacchi avvenuti in circostante spesso misteriose, i mari mediorientali sono stati spesso teatro di operazioni di intelligence o di forze d’élite israeliane e iraniane.

Di Lorenzo Vita. (Inside Over)