Israele: Benjamin Netanyahu vara il governo più estremista di sempre

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Un anno e mezzo dopo essere stato defenestrato il leader del Likud è tornato al potere. A 73 anni punta a salvarsi dalle accuse di corruzione, frode e abuso di potere ottenendo l’immunità

Il Parlamento israeliano ha approvato la fiducia per il nuovo governo, il 37esimo, e Benjamin Netanyahu è stato nominato premier. è il sesto mandato per il leader del Likud. Il primo ministro uscente Yair Lapid ha lasciato l’aula senza la stretta di mano con il successore.

Un anno e mezzo dopo essere stato defenestrato, Benjamin Netanyahu è tornato al potere alla guida di quello che è considerato il governo più estremista di sempre. Dopo elezioni fortemente combattute, le quinte in tre anni e mezzo, e due mesi di serrati negoziati, l’esecutivo ha visto la luce con la partecipazione del Likud, dei partiti ultraortodossi Shas e United Torah Judaism e delle formazioni di estrema destra Sionismo Religioso e Otzma Yehudit, insieme al partito anti-Lgbt Noam.

A 73 anni Bibi, già leader più longevo nella storia del Paese, punta a salvarsi dalle accuse di corruzione, frode e abuso di potere ottenendo l’immunità o addirittura la cancellazione del processo. Per farlo, ha bisogno degli alleati di governo, i quali – consapevoli di essere cruciali – lo hanno fatto faticare non poco, avanzando richieste su richieste, con infiniti appetiti che Netanyahu ha dovuto soddisfare, senza al tempo stesso scontentare il suo stesso partito.

Alla fine, con il tempo a disposizione agli sgoccioli, accordi sono stati firmati con tutti e ne è venuto fuori un raro e sofisticato esempio di ‘ingegneria politicà: un esecutivo di 31 ministri (compresa Gila Gamliel, la cui nomina a ministro per l’Intelligence verrà approvata dalla Knesset il prossimo lunedì), con quattro casi di rotazione (Esteri-Energia e Interno-Finanze) e tre dicasteri con doppi ministri (Difesa, Istruzione e Welfare), insieme alla restaurazione del ministero degli Affari Strategici per trovare posto all’ex ambasciatore negli Usa, Ron Dermer.

Per spianare la strada alla nuova coalizione è stata necessaria l’approvazione di una serie di modifiche legislative: una per permettere al ministro per la Sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, di avere il controllo sul capo della polizia; un’altra affinchè il leader dello Shas Aryeh Deri potesse diventare ministro nonostante l’accusa di evasione fiscale che all’inizio dell’anno gli è costata il seggio in Parlamento, dal quale si è dimesso nell’ambito di un patteggiamento con la procura.

E l’ultima per far sì che due ministri potessero servire nello stesso dicastero, venendo incontro al leader di Sionismo Religioso, Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze ma responsabile anche nel ministero della Difesa per gli ‘affari civilì in Cisgiordania.

Ancora prima di entrare in servizio, alcuni ministri hanno preannunciato una serie di misure controverse e discriminatorie che hanno costretto il leader del Likud a smentire e prendere le distanze, nel tentativo di rassicurare l’opinione pubblica in patria e gli alleati all’estero, a cominciare dagli Usa, contrari a qualsiasi espansione delle colonie nei Territori occupati palestinesi.

Tuttavia, nelle linee guida del governo presentate ieri alla Knesset, al primo punto c’è proprio l’espansione degli insediamenti « in tutta la terra d’Israele », compresa la Cisgiordania occupata. Il nuovo esecutivo ha inoltre promesso di « garantire la governance », promuovendo una riforma giudiziaria che dia la possibilità al Parlamento di ignorare le decisioni della Corte Suprema su norme ritenute incostituzionali, e di rafforzare l’identità ebraica, rispettando al contempo lo status quo religioso.

Quanto alla lotta contro l’Iran e il suo programma nucleare, lo stesso Netanyahu stamane in aula ha ribadito che resta il suo principale obiettivo, insieme all’ampliamento degli Accordi di Abramo ad altri Paesi arabi.

Nonostante gli allarmi lanciati dall’opposizione e dal potere giudiziario, il nuovo premier ha assicurato, tra le proteste di un migliaio di manifestanti fuori dalla Knesset, che « questa non è la fine della democrazia o del Paese », esortando l’opposizione a « rispettare il volere degli elettori ».

Il premier uscente Yair Lapid non si è fermato a strringergli la mano, dopo il giuramento, e ha lasciato l’aula. In mattinata, parlando « con il cuore pesante » ai deputati, il leader centrista aveva rivendicato i risultati del suo governo, sottolineado di passare il testimone con un Paese « in una condizione eccellente ». Per poi aggiungere, « cercate di non rovinarlo, torneremo presto ».

Di Cecilia Scaldaferri. (AGI)