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La svolta silenziosa. Il piano della Turchia per i missili (e non solo)

(Roma, 08 dicembre 2022). Possedere il cosiddetto “know-how”, la capacità e l’esperienza necessaria per impiegare una tecnologia, un mezzo, ma anche per produrre qualcosa in maniera autonoma è un fattore fondamentale per qualsiasi Paese. Questo vale soprattutto nel campo della difesa, dove riuscire a tutelare in modo sempre più autonomo la propria sicurezza nazionale o in collaborazione con i migliori alleati consente allo Stato di far sì che la propria forza – per difendersi ma anche per attaccare – sia scevra dalla dipendenza da altri soggetti.

Per la Turchia, possedere capacità di produrre in proprio armi e mezzi per le proprie unità militari è un problema che si può definire atavico. Sin dai tempi dell’Impero ottomano, che pure ebbe modo di espandersi in un territorio estremamente vasto e sia via terra che via mare, le forze turche si sono spesso dovute confrontare con una carenza di conoscente in campo tecnologico e militare che ha reso la Sublime Porta o arretrata rispetto ai rivali europei o dipendenti da essa. Una condizione difficile da accettare per l’impero, ma difficile anche da accettare per l’attuale Turchia, specialmente se il proprio leader, Recep Tayyip Erdogan, mostra di essere sempre meno contento delle partnership che coinvolgono Ankara cercano da un lato nuove sinergie e dall’altro di fare “tutto da sola”. Una prova di questo è il programma Milgem, piano voluto fortemente dalla Marina turca e sostenuto anche da Erdogan che si è posto come obiettivo quello della costruzione di navi completamente indigene, che fossero la massima espressione della cantieristica e dell’industria bellica turche. Il piano ha dato già alcuni importanti risultati, tra cui uno dei principali è quello delle corvette classe Ada.

A questo si devono aggiungere anche i numerosi passi in avanti realizzati da Ankara sia in campo aereo che navale. Dai droni Bayraktar fino alla futura ammiraglia TCG Anadolu, passando per i sottomarini costruiti sì con l’aiuto tedesco ma direttamente nei cantieri turchi, la Sublime Porta cerca costantemente l’affrancamento dai fornitori stranieri. Lo fa anche con passaggi apparentemente piccoli, dovuti del resto all’impossibilità per il Paese di sganciarsi da relazioni strategiche di particolare importanza senza aprire un divario enorme con le altre nazioni. Lo dimostra anche il desiderio di Erdogan di riallacciare i rapporti con l’Italia per il programma missilistico Samp-T, ormai fermo da diversi anni ma su cui il “Sultano” accendo continuamente i riflettori non appena si parla di rapporti bilaterali con Roma. Tuttavia, pur piccoli, questi passi confermano una tendenza che non sembra arenarsi nemmeno con la crisi economica che attanaglia il Paese.

La conferma arriva in questi giorni da un altra svolta solo apparentemente piccola ma dall’elevato profilo strategico. Il ministero della Difesa turco ha infatti annunciato che è stato effettuato con successo il primo lancio di prova del sistema di lancio verticale completamente indigeno della Marina turca: il Midlas. Come spiega il portale Naval News, Midlas “sostituirà il Mk 41 VLS di Lockheed Martin, originariamente destinato alle fregate di classe I”, e questo perché la Turchia ha virato sulla produzione nazionale dopo che gli Stati Uniti hanno imposto le sanzioni nel 2020. Per evitare di rimanere priva di un moderno sistema di lancio, la Turchia ha così puntato tutto sul colosso nazionale Roketsan, che ha deciso di accelerare i piani modificandoli in base alle sopravvenute esigenze delle forze navali. L’obiettivo è quello di integrare il sistema di lancio con missili anch’essi di produzione nazionale, creando una sorta di vero e proprio ecosistema completamente autonomo e realizzato in Turchia in grado di armare la flotta di Ankara senza dover colmare il gap investendo sui produttori esteri.

Di Lorenzo Vita. (Inside Over)

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