(Roma, 30 novembre 2022). Sui cieli del Mediterraneo orientale è in corso un’esercitazione che coinvolge i due Paesi. Washington e Gerusalemme vogliono avere un piano di attacco contro Teheran, visto che altre opzioni di sicurezza stanno sfumando. E sull’intelligence…
Il Pentagono e le Forza di difesa israeliane sono impegnati in una delle più grandi esercitazioni aeree degli ultimi anni, simulando attacchi contro il programma nucleare iraniano.
L’esercitazione — da martedì 29 novembre a giovedì 1° dicembre — vede gli assetti dei due Paesi volare sul Mar Mediterraneo e sui cieli di Israele. Comprende voli a lungo raggio come quelli che i piloti israeliani potrebbero dover effettuare per raggiungere la Repubblica Islamica. Coinvolge in forma indiretta una serie di attori regionali che di queste attività devono quanto meno essere informati — per poi magari rendere questa partecipazione proattiva. Per esempio, recentemente gli israeliani si sono esercitati sui rifornimenti in volo anche con la Grecia, che ha interessi (vedere, per dire, il progetto per organizzare i Mondiali del 2030 con l’Arabia Saudita, o le complicate relazioni con la Turchia) ad allinearsi con Israele sulle questioni iraniane.
Il pensiero di fondo – non nuovo – che muove l’esercitazione è piuttosto immediato: l’Iran è in crisi, non riesce a contenere e nemmeno a reprimere le proteste popolari che durano da tre mesi; i Pasdaran sono nervosi, le milizie proxy regionali sono mobilitate; l’assistenza alla Russia in Ucraina non si è mai fermata e le armi iraniane sono diventate un simbolo degli attacchi con cui il Cremlino ha bersagliato le infrastrutture elettriche e idriche di Kiev; l’isolamento internazionale di Mosca rischia di espandersi a macchio d’olio fino ai suoi sostenitori, Teheran compresa; il programma nucleare procede.
Senza la possibilità di un accordo come il Jcpoa per il congelamento dei piano atomici degli ayatollah (su cui per altro Israele non ha mai creduto), l’opzione militare non può essere trascurata. Anche se in passato (soprattutto tra i sostenitori occidentali, e soprattutto davanti al naufragio trumpiano del Nuke Deal) si è cercato di minimizzare il valore del Jcpoa e contingentarlo più al tema strettamente tecnico del programma nucleare, è evidente che quell’accordo del 2015 fosse la base per un’architettura di sicurezza regionale. Senza accordo non c’è sicurezza, senza sicurezza servono piani militari.
Stati Uniti e Israele hanno firmato un piano di cooperazione che prevede che i primi assistano il secondo nella difesa missilistica in tempo di guerra e negli ultimi anni i due eserciti hanno tenuto numerose esercitazioni congiunte di difesa aerea.
L’Iran, che possiede oltre 1.000 missili balistici a corto e medio raggio, continua a contrabbandare armi a Paesi e attori non statuali come Hezbollah, che si stima abbia un arsenale di circa 50.000 missili al confine settentrionale di Israele.
L’esercitazione in corso è stata discussa da Aviv Kohavi, capo di stato maggiore della Difesa israeliana, durante la sua visita a Washington la scorsa settimana. Kohavi, che è tornato in Israele un giorno prima del previsto a seguito di un doppio attentato letale avvenuto a Gerusalemme, ha incontrato alti funzionari americani, tra cui il vertice degli stati maggiori congiunti, il generale Mark Milley.
“Stiamo operando insieme su tutti i fronti per raccogliere informazioni, neutralizzare le minacce e prepararci a vari scenari in una o più arene”, ha dichiarato Kohavi dagli Stati Uniti, aggiungendo che i due Paesi stanno “sviluppando capacità militari congiunte a un ritmo accelerato” contro l’Iran e altre minacce in Medio Oriente.
Israele ha aumentato in modo significativo il suo livello di preparazione e ha intrapreso iniziative nel corso dell’ultimo anno per preparare un’opzione militare credibile contro le strutture nucleari iraniane.
Anche l’intelligence è al lavoro. Le autorità israeliane hanno alzato i livelli di protezione delle figure di alto livello dell’intelligence e della sicurezza, per il timore che possano finire nel mirino dell’Iran. A riferirlo la scorsa settimana è stata l’emittente pubblica Kan sottolineando che le misure riguardano in larga parte i membri, anche ex, del Mossad e coloro che operano per l’apparato di sicurezza e di intelligence israeliano e che vivono all’estero. Uno sviluppo a cui alcuni osservatori guardano con preoccupazione in quanto sembrerebbe confermare come la guerra “clandestina” tra Israele e Iran stia crescendo di intensità e si stia diffondendo in Europa e in Medio Oriente.
Di Emanuele Rossi e Gabriele Carrer. (Formiche)