Droni, repressioni e sicurezza marittima. L’Iran nel mirino

0
239

(Roma, 23 novembre 2022). Israele e Usa organizzano esercitazioni congiunte per prepararsi a un eventuale attacco contro l’Iran. Teheran si sta chiudendo e sta portando avanti vecchie, ma rinnovate, abitudini

Questo articolo è stato pensato nella serata di ieri, martedì 22 novembre, con l’obiettivo di aggiornare su una serie di situazioni old-new che stanno interessando l’Iran in questo momento, mentre la Repubblica islamica è alle prese con una serie di proteste dalle dimensioni storiche (che il regime sta reprimendo senza sembrare minimamente interessato ad ascoltare le istanze di chi manifesta anche a rischio della vita). Nella mattinata odierna è arrivata la notizia dell’uccisione, a Damasco, del colonnello del Sepâh Davoud Jafari, vittima di un’esplosione di cui non si sa niente di preciso se non che non è stata accidentale.

Questa vicenda ha dietro di sé una delle questioni regionali connesse alla Repubblica islamica. Le forze teocratiche iraniane — le stesse che gestiscono le repressioni dei manifestanti, coordinano la serie di milizie sciite proxy con cui Teheran muove influenza nella regione, amministrano il programma militare con cui viene fornita assistenza alla Russia in Ucraina — sono piene di nemici. Presenti da undici anni in Siria per puntellare il regime assadista, i Pasdaran (semplificazione giornalistica con cui viene definito il Sepâh, il Corpo dei Guardiani della Rivoluzione che in Iran gode ormai di un potere quasi totale) sono per esempio state vittime di attacchi sia da parte dei ribelli locali che delle forze israeliane, le quali costantemente martellano le attività iraniane nel Paese — e a volte di operazioni ibride.

La vicenda di Jafari sarebbe quasi ordinaria amministrazione se non fosse per la fase in cui si inquadra. Perché mentre le proteste rivoluzionarie procedono, dall’Iran per esempio arriva la notizia — tramite l’Agenzia internazionale per l’energia atomica — che il programma nucleare è ormai giunto alla capacità accertata di arricchire l’uranio al 60% nell’impianto fantasma di Fordow. Sebbene l’Iran stia già arricchendo l’uranio fino al 60% di purezza altrove, la decisione di farlo a Fordow sarà probabilmente vista dai Paesi occidentali come particolarmente provocatoria perché il sito è sepolto sotto una montagna, rendendolo più difficile da attaccare. Questa purezza è inferiore al 90% circa necessario per ottenere materiale per le armi, ma ben superiore al 20% che l’Iran produceva prima dell’accordo Jcpoa del 2015 — quello con le principali potenze mondiali che aveva come obiettivo limitare l’arricchimento iraniano al 3,67%. L’ultima mossa di Teheran è una delle situazioni old-new di cui si accennava, che si abbina a una ritorsione alla risoluzione della scorsa settimana del Consiglio dei governatori dell’Iaea — la quale ha ordinato all’Iran di cooperare con l’indagine pluriennale dell’agenzia sull’origine delle particelle di uranio trovate in tre siti non dichiarati.

Tutto mentre i tentativi di ricomporre il Jcpoa da parte di Washington e dell’Ue sembrano ormai inutili, visto la reazione dell’Iran alle manifestazioni e l’appoggio di fatto fornito alla Russia nell’invasione ucraina. Due questioni enormi che rendono l’Iran non potabile. Un’altra: secondo lo US Navy Lab che si trova in Bahrein, dove ha sede la Quinta Flotta statunitense, l’Iran è collegato all’attacco aereo con un drone contro una nave cisterna commerciale battente bandiera liberiana in transito il 15 novembre nelle acque internazionali del Medio Oriente. Due tecnici della Marina statunitense sono saliti a bordo della “M/T Pacific Zircon” per valutare i danni e raccogliere prove: hanno trovato frammenti di detriti di un proiettile rotante Shahed 136, che sono gli stessi mezzi usati dai russi per colpire le infrastrutture civili ucraine e lasciare i cittadini al freddo e senza corrente elettrica. Gli iraniani hanno già fornito questi velivoli kamikaze agli Houthi e sono già stati usati per colpire altre imbarcazioni in passato (old-new, dicevamo).

“L’attacco iraniano a una petroliera commerciale in transito in acque internazionali è stato deliberato, flagrante e pericoloso, mettendo in pericolo la vita dell’equipaggio della nave e destabilizzando la sicurezza marittima in Medio Oriente”, ha dichiarato il viceammiraglio Brad Cooper, comandante delle Forze Navali del CentCom e della Quinta Flotta degli Stati Uniti. Cooper è anche il comandante della task force multinazionale per l’International Maritime Security Construct, una coalizione navale di 10 membri le cui forze garantiscono la sicurezza marittima vicino allo Stretto di Hormuz e a Bab al-Mandeb. Val la pena dire che il concetto di maritime security è ormai elevato dagli Stati Uniti a vettore di politica internazionale.

Sempre quegli stessi droni potrebbero essere presto realizzati in una fabbrica congiunta russo-iraniana, secondo le ultime informazioni fatte arrivare dall’intelligence “di un Paese che monitora da vicino quanto sta accadendo”, come scrive la Cnn forse per non tirare in ballo la Cia. L’Iran starebbe iniziando a trasferire i progetti e i componenti dei droni alla Russia dopo l’accordo iniziale raggiunto all’inizio del mese. Nel frattempo, Kiev ha fatto sapere che funzionari iraniani e ucraini si sono incontrati per discutere dell’uso da parte della Russia di droni iraniani. Ci sono pochi dettagli su questi incontri, che avverrebbero dopo una semi-rottura diplomatica, anche perché Teheran ha in passato più volte negato in vari modi il coinvolgimento e non è chiaro quando possa essere trasparente in certe conversazioni.

L’Ucraina ha avvertito l’Iran che aiutare l’aggressione della Russia produrrà costi che superano di gran lunga i benefici di legami più stretti con Mosca. Molto probabilmente un riferimento alle sanzioni. Ma potrebbe anche esserci di più, al di là di ciò che dice Kiev. Israele e Stati Uniti stanno pianificando per la prossima settimana di tenere una serie di esercitazioni aeree che simulano scenari contro l’Iran e contro le milizie sciite in Medio Oriente. Anche il capo di Stato maggiore dell’Idf, Aviv Kochavi, e il capo degli Stati maggiori congiunti, il generale Mark Miley, hanno iniziato a promuovere piani pratici contro la minaccia rappresentata da Teheran. Senza Jcpoa, davanti al freno ai processi di dialogo avviati dall’Iran con altri attori regionali, e con Teheran sempre più chiuso e aggressivo, in molti vedono la necessità di mettere sul tavolo politico l’opzione militare.

Di Emanuele Rossi. (Formiche)