(Roma, 19 novembre 2022). Come tutti i presidenti del Consiglio recenti, anche per Giorgia Meloni è arrivata alle prime battute del suo mandato a Palazzo Chigi la prima prova con la “sfida francese“. Inevitabile crocevia politico d’Italia, punto d’incontro tra le spinte a una collaborazione profonda con Parigi e gli scenari di competizione che portano, spesso su iniziativa di Parigi, i toni a scaldarsi.
Emmanuel Macron e Giorgia Meloni si sono incontrati nei primi momenti del nuovo governo italiano; Roma e Parigi hanno costruito la volontà di proseguire un clima di cooperazione rafforzato dal governo Draghi; la riapertura della partita dei migranti ora che sia in Italia che in Francia l’approccio da destra alla questione è diventato di governo e il braccio di ferro a distanza tra i due “primi poliziotti” Matteo Piantedosi e Gerard Darmanin, Ministro dell’Interno di Macron, hanno acceso un caso più mediatico che eminentemente politico. Il tema è sicuramente caldo e dà l’idea di quanto bipolari, con connotati di schizofrenia, siano le relazioni italo-francesi.
Quello tra le due gemelle latine è un rapporto speciale e tormentato come tutte le relazioni intense fondate su interessi contrastanti. Un rapporto che si è provato a regolare attraverso il Trattato del Quirinale e che per avere ulteriori salti di qualità necessita, ovviamente, di passare attraverso sfide grandi e piccole. Roma e Parigi devono fissare bene le linee di cooperazione, competizione e potenziale convergenza per evolvere questo prezioso asse che può avviare alla costituzione di un triangolo europeo equilibrando la Germania e far scoprire all’Europa stessa il suo versante mediterraneo. A patto di mettere le cose in chiaro.
Cooperazione: la visione “latina” dell’Europa e la lotta all’austerità
In questa fase Roma e Parigi hanno un comune interesse, ribadito dal governo Meloni, nel creare le condizioni per evitare un ritorno di fiamma dell’austerità germanocentrica sul suolo europeo. L’Italia e la Francia mirano a mettere al sicuro il Next Generation Eu dall’inflazione e dal ritorno del Patto di Stabilità, mirano al tetto dinamico al gas in Europa e non vogliono lasciare spazio ai rigoristi.
In quest’ottica il custode della cooperazione con Parigi è il Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che da titolare dello Sviluppo Economico ha sviluppato un asse privilegiato col Commissario Europeo all’Industria Thierry Breton su vaccini, automobile, politiche di sostegno industriale alla luce della crisi Covid e oggi a Via XX Settembre dialoga attivamente con la controparte transalpina, il potente Bruno Le Maire.
Italia e Francia hanno la necessità di strutturare un asse latino e mediterraneo che possa dare una nuova visione d’insieme all’Unione Europea e aumentare la sicurezza del fronte Sud. In quest’ottica anche la cooperazione per la sicurezza nel Mediterraneo allargato è vitale. E come ha ricordato l’analista geopolitico Gianandrea Gaiani di recente, la compresenza delle due nazioni in Africa centrale e nel Sahel è sintomo di strategie comuni.
Il 9 novembre 2022 Macron ha annunciato da Tolone la fine ufficiale dell’operazione Barkhane nel Sahel, ma non della presenza francese in loco. In quest’ottica, ha scritto Africa Rivista, “il Niger è e diventerà sempre di più il bastione italiano nel Sahel. L’Italia, nel suo piccolo – sia geografico sia diplomatico – ha deciso di rilanciare la sua presenza nel continente africano proprio privilegiando il rafforzamento di quella militare in parte a scapito della cooperazione allo sviluppo, soprattutto in chiave antimmigrazione”.
Un altro scenario di cooperazione fondamentale, direttamente collegata a questo tema, è quello che vede Italia e Francia lavorare assieme nel decisivo campo dei microchip. Una delle partnership italo-francesi più virtuose è infatti quella in STMicroelectronics, colosso dei semiconduttori che ha il suo polo nazionale principale ad Agrate Brianza e di recente ha annunciato un investimento da un miliardo di euro, oltre a 730 milioni già stanziati, per potenziare il polo produttivo di Catania e aumentare l’autonomia europea nel settore. STMicroelectronics ha il 27,50% del capitale in mano a una joint venture tra il Ministero dell’Economia e delle Finanze italiano (50% della quota) e le francesi Bpifrance, la Cdp d’Oltralpe, e Cea (Commissariat à l’énergie atomique et aux énergies alternatives), che detengono l’altra metà del capitale.
Competizione: migranti, penetrazione francese, strategie della Difesa
A questi elementi di cooperazione si sommano scenari di competizione tipici per due grandi potenze operanti in scenari comuni.
Il tema migranti, in questa fase, impone il conflitto tra due narrazioni molto simili. Sia Italia che Francia chiedono che la questione migranti sia un problema europeo e ricordano che chi sbarca nei propri territori sbarca in Europa. Ciononostante non vogliono dare l’impressione di essere chiamate a “cedere” come nazione di primo arrivo. Questo depotenzia la prospettiva di uno sforzo comune in sede europea, a cui il Ministro degli Esteri Antonio Tajani sta lavorando provando a leggere tutti assieme i temi dell’arrivo via Mediterraneo dei migranti, della rotta balcanica e della necessità di un accordo sull’accoglienza.
Vi è poi l’annosa questione della corsa francese agli investimenti di acquisizione in Italia che rischia di minare la fiducia tra le due parti. “Dal 1993 la Francia persegue una strategia di conquista di parti importanti dell’economia italiana con lo scopo di bilanciare la potenza industriale della Germania”, scriveva nel 2018 il professor Carlo Pelanda su Limes. A questa si aggiunge, in modo integrato, “una più generale azione di influenza, corroborata dal reclutamento di decine di attori politici e funzionari italiani per allineare in posizione subordinata Roma agli interessi di Parigi”. Questo ha paradossalmente più irritato Roma che favorito Parigi, facendo spesso, soprattutto nella presidenza di Nicolas Sarkozy e nella prima fase dell’era Macron, venire meno la prospettiva di una serrata cooperazione con l’Italia.
Nel 1993 Romano Prodi, allora alla guida dell’Iri, frenò l’allora ministro dell’Industria Paolo Savona, membro di punta del governo Ciampi, di rispondere alla crisi della Prima Repubblica e agli appetiti predatori della finanza straniera sull’economia italiana muovendosi per venire a patti col sistema francese e costituire un’alleanza economica Roma-Parigi su piani paritari per giocare un ruolo comune in Europa attraverso partecipazioni congiunte in settori strategici. Il tutto sarebbe dovuto accadere a partire da un fronte comune in settori quali la telefonia mobile, come lo stesso Savona riporta nella sua autobiografia Come un incubo e come un sogno. ST è rimasto uno dei pochi casi ove ciò si è materializzato.
L’Italia, a suo modo, ha reagito e compete apertamente con Parigi in diversi scenari. Pensiamo al campo della Difesa: Leonardo e Fincantieri, pur mantenendo da un lato importanti joint venture con attori francesi, sanno competere anche con Thales e Naval Group negli scenari di diverso interesse. E la corsa delle Fremm di Fincantieri in mercati storicamente appannaggio di Parigi, come il Golfo, la Grecia, il Marocco e l’Egitto, mostra come spesso la bulimia francese si ritorca contro i transalpini.
Scenari di convergenza
Porre precise linee rosse sugli scenari di competizione ove gli interessi divergono e aprire a transizioni politiche favorevoli a una convergenza ove essi possono essere smussati è per Italia e Francia fondamentale. E proprio la parola convergenza appare la chiave per capire come Roma e Parigi possono trovare una quadra.
La continuità e la prossimità geografica si sommano alle affinità culturali; nonostante la proiezione “bonapartista” del capitalismo francese le relazioni economiche sono solide e la dipendenza reciproca è affermata; al contempo, va rivelata alla luce del Covid-19 e della crisi energetica la crescente omogeneità tra i modelli di sviluppo di Italia e Francia, che hanno la base nell’intervento pubblico al fianco dell’economia, e il nuovo mainstream occidentale. L’analista geopolitico francese Gilles Gressani ha poi applicato all’Italia di Giorgia Meloni, per tornare all’analisi contingente, la definizione di tecno-sovranismo: mentre la politica si fa sempre più affine a una crescente domanda di protezione, l’ibridazione tra la destra nazional-conservatrice e i vincoli tecnici in Italia può creare un terreno di coltura per nuovi esperimenti istituzionali. E d’altro canto la protezione, la tutela degli interessi nazionali e la svolta a destra hanno sancito la proiezione sempre più gollista e sovranista di un Macron nato come tecnocrate.
Il laboratorio della cooperazione italo-francese può conoscere presto nuovi teatri di convergenza. Iniziamo col monitorare se i buoni semi gettati sull’asse Euronext-Milano con l’ingresso di Piazza Affari nel mercato borsistico guidato dal listino transalpino di Parigi faranno germogliare rose: la scelta di Euronext di piazzare a Ponte San Pietro, vicino Bergamo, il data center del gruppo nel sito di Aruba testimonia la volontà di dare una sponda non secondaria all’Italia.
Ci sarà poi il tema della ricerca di una via europea per la pace in Ucraina su cui Macron si sta spendendo molto, sostenuto da Papa Francesco, e in cui il coinvolgimento dell’Italia può dare tutt’altro respiro a un’iniziativa comunitaria.
Della lotta all’austerità s’è detto. Roma e Parigi possono poi cercare sinergie per evitare la caduta della Commissione in mano a un rigorista nordico nel 2024: l’idea di convergere sul nome di Mario Draghi per la successione a Ursula von der Leyen e di cercare parimenti un asse per evitare che la guida della Nato vada all’Europa dell’Est può plasmare l’asse tra Meloni e Macron, che vedrebbero Palazzo Berlaymont a Bruxelles a guida italiana e la Banca centrale europea solidamente in mano francese con Christine Lagarde.
Infine, il buco nero libico. Su cui Roma e Parigi devono decidere come muoversi per bloccare una surrettizia e insostenibile competizione che sta lasciando spazio a Turchia e Russia nella “quarta sponda” europea. Parliamo di campi dove Italia e Francia hanno interessi comuni e, anche strumentalmente, possono giocare assieme partite ad alto livello. Ne va dell’equilibrio dell’Europa, e non solo. I fronti aperti sono un’opportunità, non solo un rischio. A patto di ricordarsi che l’amicizia, in politica internazionale, è un concetto relativo e nel campo delle alleanze a geometria variabile la divergenza di interessi in certi settori non implica la rivalità a tutto campo. Purché queste dinamiche siano ben governabili.
Di Andrea Muratore. (Il Giornale/Inside Over)