(Roma, 01 novembre 2022). Che cos’hanno in comune degli attivisti panafricanisti, dei militari golpisti, degli oligarchi, dei dissidenti e dei membri dell’estrema destra europea? Una forte infatuazione per la Russia di Putin, e non solo. In Burkina Faso, nel primo fine settimana di ottobre, si è consumato il secondo colpo di stato in 8 mesi: mentre il capitano Ibrahim Traoré annunciava in diretta nazionale di aver preso il potere, una folla di manifestanti si riversava nelle strade di Ouagadougou sventolando bandiere burkinabé e russe. Nel fine settimana i manifestanti, infiammati dalla notizia secondo cui il deposto colonnello Damiba stava preparando una controffensiva a partire da una base militare francese, hanno preso d’assalto diversi edifici della rappresentanza dell’Esagono nel paese, fra cui due centri culturali e la stessa ambasciata. Oltre ad esigere la partenza immediata delle truppe di Parigi al grido di “France dégage” (Francia vattene), la folla chiede al nuovo leader di rafforzare la cooperazione con la Russia. Sabato 1° Ottobre Kemi Seba, attivista e presidente dell’ONG Urgenze Panafricaniste, esultando per la vittoria dell’“Africa indomita” su quella “sottomessa alla Francia”, diffondeva sui suoi seguitissimi profili social (1 milione di followers su Facebook, 220 mila su Instagram e 103 mila su Twitter) la notizia poi rivelatasi falsa che Damiba avesse trovato rifugio in una base delle forze francesi. Il medesimo giorno un’altra attivista, la svizzero-camerunese Nathalie Yamb (400 mila followers su Facebook, 47 mila su Instagram e 213 mila su twitter) utilizzando l’hashtag #Francedegage auspicava un ritiro della Francia dall’Africa e diffondeva, pressoché in perfetta sintonia con Seba, la notizia che Damiba stesse tentando di riprendere il potere con l’aiuto di Parigi. Se gli eventi degli scorsi giorni in Burkina ricordano da vicino quanto accaduto in Mali, non è un caso: Il Sahel è infatti al centro di una vera e propria guerra d’influenza tra Francia e Russia. Per capire chi veicola il sentimento antifrancese e pro-russo nel Sahel francofono è necessario risalire al summit Russia-Africa organizzato a Sochi nel 2019.
Il summit di Sochi nel 2019
A Sochi nel 2019 si mette in scena il riavvicinamento fra Russia ed Africa. Sono presenti entrambe i responsabili della “politica africana” della Russia, Evgenij Prigožin e Konstantin Malofeev. Quest’ultimo non fa nulla per nascondere la propria presenza: nel corso del forum tiene personalmente una conferenza intitolata “Il complotto contro l’Africa”, e lo stand della sua Agenzia Internazionale per lo Sviluppo Sovrano (Iasd) troneggia fra quelli allestiti per l’occasione dai giganti dell’energia e dell’estrazione russi. Il suo obiettivo è semplice: convincere i leader africani presenti che la Russia rispetta la sovranità dei paesi africani e pertanto si configura come partner economico affidabile. Il “complotto contro l’Africa” – spiega Malofeev durante la conferenza – è ordito dall’occidente che mira a rovesciare governi e causare guerre civili imponendo “diktat politici e monetari” ai governi africani. La presenza di Prigožin è invece più dicerta, dal momento che il “cuoco di Putin” non prende la parola in pubblico: a Sochi è però presente la sua Association for Free Research and International Cooperation (Afric).
Afric, oltre l’informazione, assieme all’estrema destra europea
Cos’è questa associazione, il cui nome allude evidentemente al continente africano? Secondo un rapporto dell’European Platform for Democratic Elections (Epde) si tratta di un’entità in prima linea nella guerra informazionale russa che si fa passare come autenticamente africana, ma promuove in realtà gli interessi politici ed economici russi nel continente. La natura delle sue attività sarebbe quella di a) un gruppo di esperti dei paesi africani b) uno strumento di sviluppo e promozione di opinioni ed expertises favorevoli alla Russia c) una fonte di informazioni per i media e le organizzazioni internazionali d) un’alternativa alle organizzazioni controllate dagli Usa e dall’Ue che lavorano in Africa. L’associazione (ormai inattiva) si descriveva ufficialmente come “comunità di ricercatori indipendenti, esperti ed attivisti” il cui obiettivo principale era la “creazione di una piattaforma per l’elaborazione e la disseminazione di informazioni analitiche ed obiettive”. Dietro la creazione di Afric c’è però Yulia Afanasyeva, un‘impiegata dell’African Back Office (l’ufficio per africa) di Prigožin. Il direttore dell’Afric è Jose Matemulane, professore associato presso l’Università Pedagocica del Mozambico, il quale ha studiato in 4 diverse università russe fra il 2002 e il 2012 ed ha ottenuto un dottorato presso l’Università Statale di San Pietroburgo. Matemulane nel 2019 è a Sochi come membro della delegazione del presidente Mozambicano Filipe Nyusi. Fra gli esperti collaboratori di Afric troviamo anche la “Dama di Sochi”, Nathalie Yamb insieme a Volker Tschapke, presidente fondatore dell’associazione tedesca di ultra-destra “Società Prussiana”. Se l’associazione si colloca senza dubbio nell’ecosistema informazionale russo, è interessante notare come a partire dal 2018 l’Afric si cimenti in un’altra attività: quella delle finte osservazioni delle elezioni. L’Afric riesce infatti a presentarsi come osservatore internazionale nelle elezioni in Zimbabwe (2018), Madagascar (2018), Repubblica Democratica del Congo (2019) e Mozambico (2019). Si tratta di una finta osservazione del processo elettorale perché non solo l’Afric non è obiettiva, ma favorisce anche dei candidati ritenuti “amici” da Mosca. Nel caso delle elezioni in Madagascar l’Afric è anche presente al forum “La posizione del Madagascar nel contesto dei paesi africani”. Il forum è in realtà un pretesto per dare spazio ai candidati favoriti da Mosca e per promuovere dei temi cari al Cremlino quali la lotta al neo colonialismo e allo strapotere dell’Occidente. Invitato speciale dell’Afric al forum è Kemi Seba, che si distinguerà il giorno seguente per aver arringato una folla di manifestanti (che si scoprirà poi essere stata pagata dalla Russia) davanti all’ambasciata francese. Sempre a ridosso delle elezioni in Madagascar l’Afric, in collaborazione con un’altra entità, il Commonwealth of the Independent States – Election Monitoring Organization (Cis-emo), pubblicherà gli exit-poll delle elezioni in palese violazione delle direttive della commissione elettorale malgascia. Dal Cis-emo ci è passato anche Luc Michel, prima di fondare la propria associazione di monitoraggio delle elezioni, l’Osservatorio Euroasiatico per la Democrazia e le Elezioni (Eode). Luc Michel è una figura emblematica di quel nesso che intercorre fra panafricanisti e sovranisti europei che la Russia è stata in grado di sfruttare ai propri fini. Seguace di Thiriart (l’ideologo di un fascismo “pan-europeo” da Vladivostok a Dublino), Michel fonda in gioventù il Partito Comunitario Nazional Europeo che si schiera contro il “colonialismo yankee”. Vedendo nella Russia il principale oppositore dell’imperialismo americano, nel corso degli anni 90 Michel intesse delle relazioni con numerosi ideologisti russi, fra cui Dugin, e si distingue per l’apologia di personaggi quali Saddam Hussein e Gheddafi. Solo recentemente Michel rivolge il proprio interesse all’Africa per poi divenire una delle figure di punta di Afrique Media. Quest’ultimo è un media alternativo africano, dichiaratamente panafricanista e conosciuto per dare spazio a posizioni critiche nei confronti del “neocolonialismo occidentale” e della presenza francese in Africa.
Il cerchio si allarga
Non tutti coloro che prendono la parola contro il neocolonialismo francese in Africa o che supportano la Russia sono direttamente coinvolti nell’ecosistema informazionale di Mosca. Sono numerosi, infatti, i leader africani che hanno espresso vicinanza alla Russia, anche di fronte all’invasione dell’Ucraina da parte di quest’ultima. Alcuni esponenti politici sembrano però dare voce alla propaganda Russa. Alcuni di questi non esitano a diffondere e ripubblicare sulle proprie pagine social (con un discreto seguito) informazioni e notizie provenienti dall’ecosistema russo. Prendiamo ad esempio il caso di Nathalie Yamb. Fra i suoi numerosi incarichi Yamb è anche un membro del partito d’opposizione ivoriano Liberté et démocratie pour la République (Lider), guidato da Mamadou Koulibaly. Quest’ultimo è conosciuto per le sue posizioni critiche nei confronti della Francia e per aver esortato Cina e Russia a fare da contraltare a Parigi in sede del Consiglio di Sicurezza delle Nu. Un altro leader africano conosciuto per le sue posizioni panafricaniste e critiche della Francia è Ousamane Sonko. Sindaco della città di Ziguinchor, Sonko è il leader di Pastef-Les Patriotes, secondo partito del Sengal e principale avversario dell’attuale presidente Macky Sall, importante alleato dell’occidente in Africa. Sebbene non sia possibile stabilire alcun legame fra Sonko e la Russia, sui social anch’esso riporta sovente informazione provenienti dall’ecosistema informazionale di Mosca, ed ha più volte espresso il proprio sostegno nei confronti della giunta al potere in Mali, che si è recentemente rivolta ai Russi di Wagner in scorno alla Francia. Come Sonko il deputato Burkinabé Henri Koubizara, che presiede il gruppo parlamentare dell’amicizia fra Burkina e Russia, è uno strenuo detrattore della presenza francese in Africa. L’elenco dei leader africani simpatizzanti della Russia ovviamente non si esaurisce con questi nomi, ma ne conta numerosi altri. Da un lato uno degli effetti più significativi della guerra di influenza fra Russia ed Occidente in Africa, è che leader del continente possono ora attingere ad un offerta “diversificata”, sulla base della convenienza politica. In un’ottica neoliberale questo è sicuramente un aspetto positivo per l’Africa poiché incrementa la competizione, e quindi anche l’efficacia, dell’“offerta” estera. Dall’altro la tentacolarità della propaganda russa contribuisce attivamente a erodere l’influenza europea e delle Francia in particolare, in Africa. Lo si è visto prima con il Centrafrica, poi con il Mali, ora forse con il Burkina. Questo significa che se l’Eliseo non vuole vedere la sua politica africana crollare completamente, dovrà passare da una comunicazione reattiva ad una più proattiva. Le crisi che affliggono numerosi paesi africani non si possono risolvere esclusivamente sul piano militare, ed è ora di subordinare questo tipo di interventi ad un disegno politico di più ampio respiro.
Di Jean Marie Reure. (Il Giornale/Inside Over)