(Roma, 26 ottobre 2022). Migliaia di persone si erano radunate presso la tomba della 22enne di origine curda, per commemorarla nel 40esimo giorno dalla morte
Le forze di sicurezza iraniane hanno aperto il fuoco e utilizzato gas lacrimogeno per disperdere i manifestanti che si erano radunati a Saqez, città natale di Mahsa Amini, per commemorarla nel 40esimo giorno dalla morte che tradizionalmente in Iran è celebrato come la fine del lutto. Lo ha denunciato Hengaw, Ong con sede in Norvegia che monitora le violazioni dei diritti in Kurdistan. «Le forze di sicurezza hanno sparato gas lacrimogeni e hanno aperto il fuoco sulle persone in piazza Zindan, nella città di Saqez», si legge in un tweet.
In precedenza, migliaia di persone si erano radunate presso la tomba della 22enne di origine curda, sfidando le ingenti misure di sicurezza sanguinosa e la repressione delle proteste guidate dalle donne. «Morte al dittatore», hanno cantato i manifestanti, uomini e donne, nel cimitero di Aichi a Saqez, nella provincia occidentale del Kurdistan, come mostrano diversi video condivisi online. Nella notte erano state rafforzate le misure di sicurezza nella piazza centrale e, secondo quanto riferito, erano state bloccate le vie d’accesso alla città. Secondo l’agenzia Fars alle proteste erano presenti circa 2 mila persone.
«Per motivi di sicurezza» le autorità iraniane hanno bloccato l’accesso a internet nella città natale di Mahsa. «La connessione a internet è stata tagliata a Saqqez per motivi di sicurezza», fa sapere l’agenzia Isna, parlando di dimostrazioni e forti scontri tra manifestanti e forze dell’ordine nella cittadina.
Finora oltre mille manifestanti sono stati incriminati in connessione con le proteste scoppiate dopo la morte di Mahsa Amini il 16 settembre. Oltre 300 sono stati incriminati nelle province nord-occidentali di Zanjan e Azerbaigian occidentale e in quella nord-orientale di Semnan. A questi si sono aggiunti i 201 colpiti da provvedimenti analoghi nella provincia di Alborz e gli oltre 630 tra Teheran, Kurdistan, Khuzestan, Qazvin e Isfahan. Tra le accuse mosse ai manifestanti, ci sono azioni contro la sicurezza del Paese, propaganda contro il regime e aggressione delle forze di sicurezza. Almeno quattro sono stati accusati di crimini che prevedono la pena di morte.