Libia-Turchia: polemiche per il controverso accordo sugli idrocarburi

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(Roma, 05 ottobre 2022). Fonti libiche riferiscono ad “Agenzia Nova” che i turchi premevano da mesi per firmare l’intesa

Il protocollo d’intesa per l’esplorazione di idrocarburi tra Libia e Turchia, firmato a Tripoli lo scorso 3 ottobre, ha suscitato aspre critiche sia all’interno del Paese nordafricano che oltreconfine. Egitto, Grecia e Unione europea hanno contestato il memorandum firmato nella capitale libica da un’importante delegazione ministeriale turca e dal Governo di unità nazionale (Gun) del premier uscente, Abdulhamid Dabaiba. Proteste anche dalla Camera dei rappresentanti, il parlamento libico eletto nel 2014 e che si riunisce nell’est del Paese; dall’Alto consiglio di Stato, istituzione consultiva che svolge la funzione di “Senato” nel complicato quadro istituzionale libico; dal Governo di stabilità nazionale (Gsn), l’esecutivo libico non riconosciuto dalla comunità internazionale ma appoggiato dal Parlamento; e parzialmente anche dal Consiglio presidenziale, organo tripartito che detiene la carica di comandante supremo delle Forze armate. Da sottolineare, invece, il silenzio del generale Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica, e di Farhat bin Qadara, presidente della National Oil Corporation (Noc, l’ente petrolifero statale libico) e personalità considerata vicina al “feldmaresciallo” libico.

Fonti libiche riferiscono ad “Agenzia Nova” che i turchi premevano da mesi per firmare l’intesa sugli idrocarburi, che fa seguito all’accordo sottoscritto a Istanbul il 27 novembre 2019 sulla delimitazione dei confini marittimi, considerato però illegale sotto il profilo del diritto internazionale. Il testo del protocollo firmato a Tripoli è segreto, ma le fonti di “Nova” riferiscono che esso ha valenza triennale – e non quinquennale come volevano i turchi – e pone le basi per l’esplorazione e lo sfruttamento degli idrocarburi tra i due Paesi in un’area vastissima. L’intesa è divisa in due parti: la prima si riferisce a possibili esplorazioni turche in ogni parte del territorio libico o della Zona economica esclusiva libica nel Mediterraneo; la seconda parte fa riferimento all’accordo del 2019 e include un corridoio marittimo dalla Cirenaica alla Turchia che prescinde dall’isola greca di Creta.

Vale la pena ricordare che il Gun, allo stato attuale, non ha alcun controllo sulle coste della Libia orientale, che sono in mano alle forze del generale Haftar. E’ difficile aspettarsi nuove scoperte di idrocarburi derivanti dall’intesa nell’arco dei prossimi tre anni: sia per la mancanza di mezzi tecnici; sia per la carenze di natura legale; ma anche e soprattutto perché l’area in questione è fuori dalla portata del governo di Tripoli.

Per la Turchia, la firma del protocollo d’intesa con i libici ha una valenza soprattutto elettorale. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, infatti, è in calo nei sondaggi e in cerca di consensi in vista delle elezioni del giugno 2023, dopo le sconfitte elettorali a Smirne e Istanbul. Mostrare che la “campagna libica” sta andando bene e sta portando risultati potrebbe garantire a Erdogan i voti degli elettori di destra. Non solo. Gli accordi con i libici hanno anche una valenza geopolitica. Da anni, infatti, la Turchia è isolata nel Mediterraneo Orientale, dove Grecia, Cipro, Egitto e Israele hanno formato un’alleanza per estrarre gas ed esportarlo in Europa tramite navi gasiere e forse in futuro attraverso il progetto del gasdotto EastMed. L’accordo con il governo di Tripoli garantisce ai turchi un asse alternativo in un’area geopolitica strategica. Così facendo, però, Ankara vedrebbe inevitabilmente deteriorati i suoi rapporti in Cirenaica, tagliandosi le gambe nella Libia orientale proprio mentre era in procinto di aprire un consolato a Bengasi, dopo una lunga e paziente opera di riavvicinamento.

Abbastanza chiara è la logica dell’accordo con la Turchia dalla prospettiva del premier libico Dabaiba. Secondo le fonti libiche di “Nova”, egli ha la necessità di ricompensare la parte turca per aver impedito il tentato golpe del 27 agosto, quando le forze alleate al primo ministro “rivale” Fathi Bashagha erano sul punto di prendere il potere, ma sono state fermate dai droni d’attacco manovrati dai turchi. Quello del premier Dabaiba appare tuttavia come un ragionamento a breve termine per restare al potere e per rafforzare al tempo stesso l’intesa con Ankara.

Quella della Turchia è stata l’unica delegazione di alto livello giunta a Tripoli da mesi, a cui si aggiunge la sosta della nave d’assalto anfibia Hms Albion nel porto di Tripoli, con la quale il Regno Unito ha voluto mandare un segnale di sostegno al Governo di unità nazionale. Una mossa, quest’ultima, aspramente criticata dall’opinione pubblica libica e che potrebbe rivelarsi un boomerang per la popolarità del governo a Tripoli.

(Nova News)