(Roma, 29 agosto 2022). Al funerale di Darya Dugina, seduto vicino al filosofo Dugin e alla moglie Natalya Menteleva, sedeva un giovane possente e dalla barba folta. Non si trattava di un parente, bensì di Konstantin Valer’evič Malofeev, proprietario di Tsargrad.tv, dove Dugina lavorava come corrispondente e cronista e presso la quale Dugin padre è caporedattore dalla sua apertura, nel 2015.
La carriera prima della TV
Le parole di commiato del magnate televisivo, da sole, spiegano il rapporto che lega Malofeev alla famiglia Dugin: “Dasha (il diminutivo di Darya in russo, non è morta invano (…) con il sangue dei nostri martiri noi diventiamo ancor più forti. (…) Anche per la scomparsa prematura della nostra cara amatissima Dasha, noi vinceremo sicuramente in questa guerra, lei questo voleva e per questo viveva. (…) E anche nel regno dei cieli sarà una guerriera di Cristo”. Oltre allo stretto legame tra i tre, il linguaggio dell’elogio funebre racconta alla perfezione chi sia Malofeev e quali siano i suoi feticci. Lo si capiva bene anche da quel titolo, “Chi ha ucciso il soldato Darya Dugina?”, comparso su Tsargrad.tv poche ore dopo l’attentato.
Il quarantottenne oligarca televisivo è presidente del consiglio di amministrazione del gruppo Cargrad e direttore dell’Aquila Bicipite, organizzazione non governativa russa per lo sviluppo dell’educazione storica, è nella lista delle sanzioni personali imposte da Usa, Canada e UE dal 2014. Nel 2017, Kiev ha invece inserito Malofeev nella lista dei ricercati internazionali, accusandolo di creare gruppi paramilitari illegali. C’è un po’ di tutto nel cursus honorum di Malofeev: alta finanza, politica, scandali. Ma c’è un punto imprescindibile nella sua scalata al potere: l’apologia di Putin e del putinismo. Circa dieci anni fa, nel 2014 questo favorito suscitò scalpore per un suo ambizioso progetto: avviare una sorta di Fox News ortodossa per coadiuvare Mosca nel suo ritorno al glorioso passato zarista.
Ma cosa possedeva di diverso questo quarantenne dalle orde di oligarchi dell’era Putin? In un momento in cui il governo russo stava rendendo la vita difficile agli oligarchi indisciplinati, Malofeev – conservatore e patriottico – era il tipo di uomo d’affari destinato ad emergere come una sorta di “Soros di Putin“, come venne ribattezzato ai tempi della guerra in Crimea.
L’ossessione per la fede ortodossa
La fondazione dedicata a San Basilio il Grande è la più grande organizzazione di beneficenza ortodossa del Paese, altro “capolavoro” dell’oligarca: la sua missione è più grande della semplice restaurazione dell’Ortodossia in Russia. Piuttosto, è una lotta globale condita da refrain censori, soprattutto in fatto di musica, internet e tematiche LGBT. Non a caso, i bersagli preferiti del suo canale sono le femministe russe e gli omosessuali.
L’ossessione per la fede ortodossa è quella che ha legato in qualche modo il suo destino al conflitto in Ucraina: Malofeev stava viaggiando a seguito di una delegazione della chiesa ortodossa portando le sacre reliquie in un tour attraverso la Bielorussia e l’Ucraina quando il suo aereo venne dirottato e costretto ad atterrare in Crimea. Settimane prima che il territorio fosse annesso alla Russia, migliaia di persone si presentarono per venerare i resti sacri. Da quel momento, Malofeev ha ha tenuto un piede in quel di Mammona e uno nella Chiesa ortodossa, parte integrante della mitopoiesi di Putin. Ben presto, l’idea di rieducare all’ortodossia i russi diventò un progetto televisivo: Tsargrad.tv., che nel 2015 iniziò a trasmettere su Spas, un canale religioso gestito dalla Chiesa ortodossa.
Il progetto Tsargrad
Tsargrad prende spunti editoriali dal presidente Putin e dalla Bibbia. Il chiodo fisso per il modello incentrato sui “valori tradizionali” della nota rete americana non è casuale. Malofeev volle infatti con sè Jack Hanick, uno dei padri fondatori di Fox, per mettere in piedi il suo impero mediatico. In un’intervista al Financial Times del 2015, il magnate dichiarava che il primo intento della sua Fox made in Russia era fare proseliti, nonché rendere praticanti “quelli che vanno in Chiesa solo a Pasqua”. Invece di giovani alla moda che parlano di cambiamento politico, Tsargrad ha una cupa redazione dedicata ai valori conservatori, al patriottismo e alla Chiesa ortodossa russa. Lo studio del canale è decorato con costose immagini religiose: come amava ripetere il suo fido socio Hanick, è “Bisanzio che incontra il 21° secolo”. Una cupola con una grande icona di Cristo sul soffitto, alte finestre, luce naturale che infonde spiritualità: un incubo per tecnici e cameraman.
Per realizzare una piattaforma mediatica degna del progetto di Malofeev, serviva un maître à penser. La scelta cadde proprio su Alexander Dugin, che accolse quasi messianicamente il suo ruolo di caporedattore. “Il liberalismo è stato fortemente screditato dalla politica occidentale”, affermò Dugin all’inizio del progetto. L’obiettivo era, dunque, portare il discorso patriottico fuori dal dalle ere sovietica e liberale. “Tsargrad riflette l’opinione di questa maggioranza silenziosa”, sosteneva Dugin, dimentico della fattura occidentale dell’espressione usata. Tuttavia, al canale serviva anche un’ allure di tipo geopolitico, e cosa c’era di meglio di una quotidiana filippica anti-occidentale sulle notizie? Il tutto opportunamente condito da riferimenti a Soros e i Rotschild e i loro piani per il dominio del mondo, al “satanismo abortista americano”, alla “deriva morale dell’Occidente, et similia. Ma soprattutto, Malofeev aveva scelto come suo filosofo televisivo l’uomo che nel 1997 aveva pubblicato The Foundations of Geopolitics: The Geopolitical Future of Russia, vero e proprio manifesto del neo-eurasianismo.
Il progetto per la Russia
Con la filosofia di Dugin come sostrato culturale, Malofeev fa grandi progetti per la Russia che sarà.
La guerra in Ucraina, che ha visto un inasprimento delle sanzioni, sembrava aver bloccato l’idea di promuovere i suoi valori oltre l’Europa, ove raccoglie le simpatie di euroscettici e complottisti. Qualcuno, all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina, aveva ipotizzato che i progetti deliranti dell’imperatore televisivo potessero almeno ridimensionarsi, ma così non è stato. Accogliendo favorevolmente la prospettiva che Putin rimanga al potere fino al 2036, il magnate sostiene che la Russia ora ha “una quasi monarchia”, un’ottima cosa, a suo dire: infatti, è almeno dal 2019 (come racconta in questa intervista sul New York Times) che anela l’introduzione di una monarchia costituzionale, una prospettiva ormai diventata realistica.
I progetti di Malofeev per la Russia del futuro si fondono in maniera perfetta con le teorie duginiane: insieme, negli ultimi mesi, hanno fornito la piattaforma filosofica con la quale giustificare l’”operazione speciale”. “Gli ucraini devono capire che li stiamo invitando a creare questa nuova, grande potenza (russa). Così come bielorussi, kazaki, armeni, ma anche azeri e georgiani, e tutti coloro che non solo erano e sono con noi, ma lo saranno anche “, scriveva Dugin su Tsargrad nel maggio scorso.
Al connubio Malofeev-Dugin mancava un solo dettaglio: un martire a cui intitolare la loro battaglia culturale fatta di croci e microfoni. Un’”evangelista della guerra” -come l’ha definita l’esperto di nazionalismo russo Giovanni Savino-, una giovane santa da vendicare e celebrare, un vessillo da agitare per ottenere proseliti e galvanizzare i propri accoliti. Darya Dugina, da morta, rappresenta tutto questo: bella, giovane, donna, cresciuta a pane e teorie del padre. La scenografia del suo funerale parla chiaro: il corpo ricomposto nella bara aperta, la camera ardente allestita negli studi di Ostankino, la presenza di alcuni dei principali esponenti dei media ufficiali, delle forze politiche rappresentate alla Duma (vedi Leonid Slutsky, presidente del Partito liberaldemocratico di Russia e Sergey Mironov, leader di Russia Giusta ). Se chi ha ucciso “il soldato Dasha” voleva dichiarare guerra a Putin, adesso il binomio Malofeev-Dugin è pronto a rispondere al fuoco: da questa battaglia verrà fuori la Russia dei prossimi cento anni.
Di Francesca Salvatore. (Il Giornale/Inside Over)