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Ucraina: cosa resta dell’Armata Rossa. L’analisi del gen. Giorgio Cuzzelli

(Roma, Parigi, 27 agosto 2022). Riflessione sugli errori (tanti) che la Russia ha commesso durante l’invasione in Ucraina, a sei mesi dall’inizio della guerra russa. Non illudersi però, Mosca impara in fretta, secondo Giorgio Cuzzelli, Generale di Brigata degli Alpini in congedo, docente di Sicurezza internazionale all’Orientale di Napoli

L’apparente incapacità da parte dell’Armata Rossa di conseguire il successo in Ucraina ha lasciato interdetti molti osservatori occidentali. In aggiunta, la brutalità dimostrata dai militari russi nei confronti della popolazione civile ha aggiunto un severo giudizio morale a quello che era già un bilancio complessivo poco favorevole.

Si impone innanzitutto una considerazione. In guerra esiste l’attrito. L’attrito secondo Clausewitz è determinato da quattro elementi, che concorrono in egual misura a complicare le cose: la contrapposta volontà dell’avversario, l’ambiente nel quale si opera, le capacità del proprio strumento militare e, infine, le informazioni sugli intendimenti e sui dispositivi del rivale. All’attrito si aggiunge un ulteriore fattore di successo o insuccesso, per definizione imponderabile e ingovernabile: la fortuna, ovvero il caso.

I Russi sono caduti vittime sia dell’attrito sia della sorte. Per converso, gli Ucraini li hanno abilmente sfruttati a proprio favore.

Ciò che gli esperti si aspettavano di vedere era il trionfo di un esercito che è il diretto erede dell’Armata Rossa di Berlino e della Guerra Fredda. Nulla di tutto ciò si è verificato.

Diciamo innanzitutto che dall’8 maggio 1945 — la vittoria a Berlino — ad oggi sono trascorsi settantasette anni. Non uno, settantasette. Quante guerre manovrate ad alta intensità hanno combattuto i Russi nel frattempo? Nessuna. Dunque il know-how, la capacità e l’esperienza diretta nelle operazioni classiche sono oggi completamente assenti. Per i Russi, tuttavia, una simile impreparazione non è nulla di nuovo. Nel 1905 con il Giappone, nel 1914 con gli Austrotedeschi, nel 1939 con la Finlandia e nel 1941 con Hitler lo strumento militare moscovita ha pagato uno scotto spaventoso per la propria imperizia, salvo apprendere dalle sconfitte e risollevarsi, ancorché al prezzo di enormi sacrifici umani. Né si può dire che in Afganistan o nel Caucaso le cose siano andate diversamente.

In aggiunta, ciò che è avvenuto in Ucraina ha messo in evidenza un certo numero di malanni storici dell’organizzazione militare russa presenti sin dai tempi dello Zar.

In primo luogo il problema delle informazioni. È assolutamente evidente che l’operazione è stata lanciata sulla base di conoscenze del tutto errate circa gli intendimenti, le capacità ed i dispositivi dell’avversario. Mosca era convinta che il vertice ucraino fosse inviso alla popolazione, e che l’esercito si sarebbe arreso al primo colpo di fucile. Se ciò sia avvenuto perché gli analisti si sono innamorati delle proprie idee, perché bisognava compiacere il pensiero di vertice, o perché gli avvertimenti sono stati ignorati, sarà la storia a dircelo.

Il fidarsi di informazioni sbagliate ha peraltro determinato decisioni infelici. In guerra si esercita un solo sforzo principale laddove l’avversario appare più debole, e lì si concentrano le proprie forze per attaccare di sorpresa. Se invece ci si aspettano due ali di folla festante, si pianifica per mesi di entrare in fila indiana da cinque direzioni diverse per occupare il paese senza colpo ferire, portandosi dietro solo quel minimo di logistica che eviterà di rimanere per strada. È evidente che se gli altri non la pensano così le cose andranno malissimo. Senza contare che pensare di decapitare nel 2022 il regime ucraino con un’operazione nello stile di Kabul nel 1979 era quantomeno presuntuoso. Se non altro perché a Kabul nel 1979 con l’Armata Rossa c’erano anche gli Ucraini. Ciò al netto del supporto informativo offerto a Kiev da terze parti non del tutto disinteressate.

In seconda battuta, di fronte alla resistenza ucraina si è posto da subito un serio problema di comando e controllo delle forze. Non solo l’autonomia decisionale ai minimi livelli si è rivelata inesistente — storico problema — e di conseguenza si è privilegiato lo schematismo della manovra a scapito dell’iniziativa, ma per di più gli strumenti tecnologici per dirigere le operazioni — i sistemi di collegamento — non si sono rivelati all’altezza della situazione. Il risultato è stata una manovra a singhiozzo, episodica e scoordinata, che i difensori hanno avuto buon gioco a contrastare adottando le stesse procedure previste negli anni ’80 dalla NATO — e dall’Esercito Italiano — per arrestare le masse sovietiche.

Nel contempo, partito su cinque direzioni diverse con al seguito il minimo indispensabile per una veloce passeggiata, lo strumento russo si è ritrovato ben presto a corto di tutto. Qui si è manifestato un duplice problema già individuato dagli studiosi in epoca sovietica. Da un lato uno spaventoso tasso di inefficienza dei mezzi, dall’altro una cronica insufficienza della logistica, della sanità e dei mezzi ad esse destinati. In Occidente il rapporto tra combattenti e sostegno è di 1 a 10. Dai Russi è di 1 a 5 quando va bene.

Qualcosa dunque non ha funzionato nell’organizzazione delle forze. Per quanto possa sembrare paradossale, qui i russi sono caduti vittime da un lato delle teorizzazioni occidentali e dall’altro delle esperienze più recenti, loro e altrui.

Hanno infatti abbandonato la tradizionale ripartizione dello strumento terrestre in complessi mono armate, cioè dedicati a fare un solo lavoro, ed hanno adottato un’organizzazione estremamente complessa a livello di gruppo tattico precostituito, ovvero di battaglione ipervitaminizzato — circa 800 uomini — che vede coesistere sotto lo stesso cappello sin dal tempo di pace elementi diversi. Questo tipo di formazione predeterminata, che ha senso quando occorre proiettare forze su ampi spazi in condizioni di autonomia, presenta molte controindicazioni nelle operazioni tradizionali.  È poco flessibile e difficile da coordinare. Determina una polverizzazione delle risorse a livello periferico e — nel contempo — toglie la possibilità di concentrare ciò che serve, dove serve e quando serve. Infine, mette insieme elementi del tutto dissimili, la cui preparazione diventa un problema.

Si tratta quindi di una struttura difficile da far funzionare. Al punto che in Ucraina i Russi per primi sono tornati ad impiegare le forze in modo unitario in complessi monoarma, per cercare di realizzare la superiorità locale laddove non riuscivano a passare.

E proprio nella ricerca della superiorità locale si è manifestata in tutta evidenza la debolezza di fondo dell’Armata Rossa di oggi, ovvero la mancanza di fanteria. La scomparsa dell’Unione Sovietica, la crisi demografica della Federazione Russa e le difficoltà incontrate dalla coscrizione obbligatoria hanno rappresentato un serio problema per un esercito che ha sempre fatto della massa il proprio punto di forza. Il rimedio è stata la professionalizzazione delle forze, che tuttavia non è stata in grado di generare numeri sufficienti per le ambizioni. Occorreva dunque trovare altre soluzioni. L’osservazione dei successi occidentali nelle guerre del Golfo del 1991 e del 2003 ha portato i Russi a ritenere che l’offesa diretta portata dalla fanteria potesse essere sostituita dal fuoco di precisione erogato a contatto e in profondità da mezzi tecnologicamente sofisticati. Il tutto nel quadro di una manovra condotta su ampi spazi dai famosi gruppi tattici precostituiti. Nei quali, tuttavia, i fanti sono in tutto 300 su 800 soldati, meno della metà. Troppo pochi per occupare e tenere il terreno. Ciò nel quadro di numeri comunque largamente insufficienti alla bisogna. Pretendere di ridurre alla ragione 44 milioni di anime con 140.000 uomini significa impiegare 3 soldati ogni 1.000 abitanti. In Germania nel 1945 c’erano 101 Americani ogni 1.000 Tedeschi.

Al netto di tutte le considerazioni sinora esposte, è dunque evidente che alla base di tutta l’avventura c’è stato un calcolo politico completamente errato, del quale l’Armata Rossa sta pagando un prezzo spropositato perché – nel solco di una storia che si ripete – non era pronta per ciò che l’aspettava.

È bene tuttavia non farsi troppe illusioni. Anche se le hanno prese di santa ragione, i Russi imparano in fretta.

Di Giorgio Cuzzelli. (Formiche)

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