(Roma, 22 agosto 2022). Da un gruppo clandestino mai sentito prima. Intanto, la polizia fa sapere che l’ordigno sarebbe stato azionato a distanza
L’indomani dell’attentato in cui ha perso la vita Darya Dugina, giornalista russa fervente sostenitrice dell’invasione dell’Ucraina e figlia del filosofo di estrema destra Aleksandr Dugin, è una giornata di indagini, di ipotesi e di analisi.
La polizia russa ha riferito all’agenzia di Stato Tass questa mattina che l’ordigno sarebbe stato fatto esplodere a distanza. “Presumibilmente, l’auto”, una Jeep di proprietà del padre, « è stata monitorata e il suo movimento è stato controllato », ha affermato la fonte a Tass.
Ieri la macchina della comunicazione del Cremlino pendeva tutta verso le accuse all’Ucraina: diversi commentatori accreditavano l’ipotesi di una responsabilità di Kiev, mentre Denis Pushilin, capo dell’autoproclamata repubblica di Donetsk, definiva senza mezzi termini i governanti ucraini “vigliacchi infami » e “terroristi”. Parole citate dalla portavoce del ministero degli Esteri di Mosca, Maria Zakharova, secondo la quale se tale pista fosse confermata, « avremo la conferma della politica del terrorismo di Stato messa in atto dal regime di Kiev ». Olesya Loseva, conduttrice di un programma televisivo al quale Dugina era spesso ospite, ha parlato di “un crimine mostruoso, un atto di intimidazione, un segnale per tutti noi » e aggiunto che la giornalista « è morta per i suoi ideali, è morta perché non aveva paura di quello che avrebbe dovuto essere urlato tempo fa”.
Stamattina è invece arrivata una sorta di rivendicazione, di segno opposto ma al momento priva di riscontro: « Dichiariamo il presidente Putin un usurpatore del potere e un criminale di guerra che ha emendato la Costituzione, scatenato una guerra fratricida tra i popoli slavi e mandato i soldati russi a una morte certa e insensata », sarebbe il comunicato rilasciato dall’Esercito repubblicano nazionale, formazione clandestina avversa a Putin di cui non si è mai avuto notizia precedenza. A riportarlo è stato Ilya Ponomarev, ex membro della Duma russa espulso per attività anti-Cremlino, aggiungendo che il gruppo sarebbe pronto a condurre ulteriori attacchi simili contro obiettivi di alto profilo collegati al Cremlino, inclusi funzionari, oligarchi e membri delle agenzie di sicurezza russe.
Quale che sia la mano che ha messo l’esplosivo, questo attentato ha complicato la situazione per Vladimir Putin e scosso l’élite russa, secondo un’analisi pubblicata oggi in prima pagina dal New York Times. L’attentato, scrive il quotidiano della grande mela, « ha il potenziale per complicare ulteriormente gli sforzi di Putin per portare avanti la guerra in Ucraina pur mantenendo un senso di normalità a casa », anche perché « arriva sulla scia di una serie di attacchi ucraini in profondità dietro la linea del fronte nella penisola della Crimea controllata dalla Russia, e perché molti dei più accesi sostenitori della guerra hanno chiesto a Putin di lanciare un nuovo assalto all’Ucraina per rappresaglia ».