(Roma, 21 agosto 2022). Ilya Ponomarev, un ex membro della Duma russa espulso per attività anti-Cremlino, ha affermato che ci sarebbe la mano di un gruppo di partigiani russi dietro l’autobomba
In un articolo apparso su “Spectator” Mark Galeotti, politologo britannico tra le massime autorità in occidente sul leader russo, argomento di molti suoi libri, professore alla University College London e ricercatore del prestigioso think tank Royal United Services Institute (RUSI), ha fornito la sua lettura sull’attentato che ha causato la morte della figlia di Alexander Dugin. Scrive “è diffusa l’ipotesi che il vero obiettivo fosse suo padre. Si diceva che l’auto fosse sua, anche se altri resoconti affermano che fosse registrata a nome di Darya. In ogni caso, ci sarebbe stato se all’ultimo momento non avesse scelto di tornare a casa in un altro modo. Nessuno ha ancora rivendicato la responsabilità, ma nell’ambiente politico carico del momento, tutti incolpano il loro cattivo preferito”.
Come spiega Mark Galeotti i commentatori russi hanno iniziato subito ad incolpare Kiev dell’accaduto, senza però dare una spiegazione, o meglio un movente, perché Dugin sarebbe il loro obiettivo, considerando che in Russia ci sono commentatori ancora più rabbiosi verso l’Ucraina e anche più influenti. Ma soprattutto come sarebbero riusciti a portare a termine il colpo in un territorio militarizzato e controllato come ai tempi delle purghe di Stalin ?
Ma d’altro canto, si legge nell’articolo, ci sono altri osservatori che ritengono che questo attentato sia stato un successo del Cremlino, o perché volevano fare di Dugin un martire simbolico o perché temevano che gli ultranazionalisti come lui avrebbero suscitato proteste se la Russia si fosse ritirata dalla guerra in Ucraina.
Poi, terza ipotesi, c’è chi parla di un omicidio su commissione guidato non dalla politica ma da controversie commerciali. Dugin è, dopo tutto, uno scrittore straordinariamente prolifico e un energico auto promotore. E intorno a lui girano una discreta quantità di denaro.
Ma Dugin negli anni è diventato una specie di paradosso (dopo l’invasione del 2014 del Donetsk fu allontanato dall’Università proprio per le sue radicali posizioni contro gli ucraini disse che bisognava “Uccidere, uccidere, uccidere”).
Scrive Galeotti “Potrebbe non avere una reale relazione con il governo, ma la sua capacità di presentarsi come un pensatore profondo le cui idee incorniciano il pensiero del Cremlino significa che è considerato importante. E se le persone lo considerano importante, in una certa misura diventa importante. O meglio, il mito di Dugin sì.”
Tornando alla morte della figlia Darya, un Dugin morto sarebbe stato un martire, un Dugin vivo e arrabbiato per quanto è accaduto, e che difficilmente sarà placato, potrebbe essere una carta, potrebbe essere il jolly di quei nazionalisti che sono già insoddisfatti di Putin non perché ha iniziato la guerra in Ucraina ma perché la sta conducendo male, secondo loro.
Per placare tutto questo come dice Galeotti a breve ci potrebbero essere degli arresti con la classica sceneggiatura, già vista più volte: agenti del Servizio di sicurezza federale che irrompono in un appartamento allestito con attrezzature per fabbricare bombe, pistole, un manuale per imparare da soli l’ucraino, alcuni dollari USA. I russi conoscono lo schema.
L’attentato (con le telecamere fuori attività da due giorni e la possibilità di mettere la bomba sotto il sedile del guidatore) è un fallimento dello stato di sicurezza russo e rende visibili le tensioni e le rivalità al suo interno.
Galeotti precisa che “questo stato delle cose convincerà i nazionalisti, che possono essere meno numerosi e visibili dei critici liberali di Putin ma tendono a essere all’interno dei servizi di sicurezza, che questo è un regime che non è all’altezza della propria retorica e potrebbe essere più debole di quanto sembri.”
A questo si aggiunge la dichiarazione di Ilya Ponomarev, un ex membro della Duma russa espulso per attività anti-Cremlino, ha affermato che ci sarebbe la mano di un gruppo di partigiani russi dietro l’autobomba. Lo riferisce il Guardian. Il dissidente, parlando da Kiev dove risiede, ha sostenuto che l’attentato sia stata opera « dell’esercito repubblicano nazionale (NRA) ». « Ieri sera si è verificato un evento importante vicino a Mosca. Questo attacco apre una nuova pagina nella resistenza russa al putinismo. Nuova, ma non l’ultima », ha affermato l’ex parlamentare.
I legami di Darya Dugina, come quelli del padre, hanno sempre ruotato intorno ad un mondo filo putiniano che aveva ed ha collegamenti in tutto il mondo e dove il mondo dell’informazione, della disinformazione hanno un ruolo portante. E certo né a lei né al padre e tantomeno a personaggi come Prighozin mancano le risorse per gestirli e mantenerli.
La disamina di Galeotti apre uno squarcio anche su Darya Dugina che definisce una figura prominente della destra che come riporta anche il Washington Post era una commentatrice televisiva e direttrice di un sito di disinformazione “ United World International- Centro di analisi dati indipendente” (che fa capo a Evghenij Prighozin, stretto alleato del presidente russo, finanziatore del gruppo di milizie Wagner nonché implicato nello scandalo dei trolls russi nelle campagne per la Brexit e l’elezione di Trump) .
Un sito che ha pubblicato il 18 agosto scorso un articolo dal titolo “La caduta del “quisling” collaborazionista Draghi e le prospettive dell’Italia” a firma di Fabrizio Verde direttore del sito “L’Antidiplomatico” di cui si era occupato Jacopo Iacoboni, l’8 novembre 2016. “Nonostante neghi un’inclinazione filo-Putin, L’Antidiplomatico descrive bene il legame culturale sempre più stretto tra cinque stelle e propaganda di Mosca. Basta leggere gli ultimi dieci articoli in cui, direttamente o indirettamente, si parla del leader russo. « Oliver Stone: Trump è pericoloso, ma cosa vi fa pensare che Hillary non lo sia?”. Iacoboni ne ripercorre nell’articolo, come è nato e chi ruota intorno alla redazione.
Di Laura Aprati. (Rai News)