Cosa succede se la Crimea diventa il prossimo fronte

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(Roma, 11 agosto 2022). L’attacco alla base di Zaki racconta di un potenziale allargamento del conflitto alla Crimea, se Mosca per ora evita eccessi, ma è considerata una linea rossa inaccettabile

L’attacco alla base di Saki, in Crimea, è probabilmente l’evoluzione più sostanziale di queste ultime settimane di guerra russa in Ucraina. La base è un asset importante per le operazioni russe nella fascia meridionale ucraina, e il fatto che sia finita sotto i colpi di Kiev è rilevante sia per il valore militare che politico.

La Russia nega che sia stato un attacco ucraino, ma parla di un’esplosione (che poi ne ha innescate altre) in un deposito di munizioni. Non è la prima volta che Mosca usa ricostruzioni riconducibili a incidenti quando subisce dei colpi pesanti – si ricorderà per esempio quanto accaduto all’ammiraglia della Flotta del Mar Nero, il “Moskva” affondato dagli ucraini, colato a picco per un incendio nella santabarbara secondo i russi.

Ci sono diversi fattori in campo. Il primo è che la Russia non può mostrarsi vulnerabile, non in questo momento (in cui la spinta offensiva deve arrivare a una soluzione stabilizzante); non sulla Crimea.

Il destino della penisola non è in discussione per Mosca. Annessa con un referendum farsa durante la destabilizzazione ucraina del 2014, la Crimea è diventato uno dei luoghi simbolo — se non il — delle attività imperialistiche aggressive di Vladimir Putin. Da tempo la Russia considerava il controllo ucraino della Crimea come il risultato di uno sciocco errore storico. Le questioni indipendentiste – e di riannessione alla Russia – sono da sempre un fattore interno al territorio. La presa del 2014 è stata la rivincita con la storia firmata Putin.

Piazzata al centro del Mar Nero, il suo controllo territoriale permette alla Russia l’ottenimento di un vantaggio strategico nel bacino – e non a caso Sebastopoli ospita la flotta regionale. Per Kiev – e per buona parte della comunità internazionale – la Crimea è irregolarmente occupata.

Tuttavia la possibilità che questa ritorni sotto il legittimo controllo ucraino è molto remota. La Russia dovrebbe perdere completamente la guerra per aprire un negoziato che riguardi la penisola crimeana. Il rischio che l’attacco – che segue di qualche settimana un altro, sul quartier generale della Flotta del Mar Nero – possa significare l’estensione dei combattimenti in quell’area non è accettabile per la Russia.

Mosca non può pensare di vedere estese le battaglie in un territorio che ha narrato come “isola felice”. Uno scenario del genere potrebbe portare il Cremlino anche alla scelta estrema (l’uso di una bomba nucleare tattica contro Kiev?) per rappresaglia. Mosca rivendicherebbe il diritto a quella scelta giustificandolo con l’aver subito un attacco sul proprio territorio.

Anche per questo, per ora evita di alzare i toni consapevole che ha in mano una carta da giocare. Anche perché pure Kiev cerca un disinnesco di un’escalation potenzialmente vicinissima. Il governo ucraino ha negato l’attacco in via ufficiale, ufficiosamente ha fatto invece filtrare informazioni anonime ai media per rivendicarlo.

Va anche detto che la zona d’ombra su quanto accaduto lascia ampio spazio alle ipotesi e alle ricostruzioni spifferate ai media. I funzionari ucraini hanno accennato per esempio al lavoro di “partigiani” che agiscono come sabotatori dietro le linee russe, ma è un’ipotesi piuttosto remota perché non è chiara la consistenza di questo genere di resistenza. Si è parlato anche di un’incursione delle forze speciali. Ed è possibile che siano stati utilizzati droni o missili, anche se non si sa se l’Ucraina abbia missili in grado di raggiungere le 140 miglia dalla linea del fronte più vicina.

Resta che assestare colpi importanti, anche e soprattutto sul piano politico e del morale, è necessario. L’Ucraina è consapevole del rischio, ma d’altronde combatte in difesa su una guerra di occupazione – il contrattacco è parte di certe dinamiche.

Ma un altro fattore da non sottovalutare sul comportamento controllato ucraino (e in parte russo) riguarda le terzi parti coinvolte, per ora indirettamente, nel conflitto. Kiev potrebbe voler evitare di rivendicare ufficialmente certi attacchi perché i suoi fornitori di armamenti – che sono poi quelli che vengono usati proprio per questi attacchi – non gradirebbero eccessive esposizioni.

Un conto è colpire e tenere un basso profilo, un altro è vantarsene. Se per esempio (siamo sempre nel campo delle ipotesi) fossero stati utilizzati i missili inglesi Neptune in configurazione aria-aria (di solito sono degli anti-nave), Londra potrebbe aver fornito le istruzioni necessarie per l’uso, ma potrebbe aver chiesto di non fare troppe pubblicità. Il rischio è che queste possano portare a escalation dirette con la Russia – che considera le forniture occidentali di armi all’Ucraina come un attacco diretto.

Mosca ha più volte minacciato di colpire le linee di rifornimento, e non solo. Però per ora ha scelto di non alzare il livello di questo scontro — per interesse chiaramente. Il Cremlino però vuole evitare (in cambio) che insuccessi e colpi subiti possano diffondersi troppo in profondità tra le sue collettività. Semplificando, non potrebbe accettare di vedere il presidente ucraino Volodymyr Zelensky vantarsi di aver colpito la base di Zaki con missili o droni occidentali. Assorbe il bombardamento in sé, ammesso che lasci spazi per la contro-narrazione. Quella che descrive i fatto come un incidente, da poter servire come versione ai russi, che devono restare convinti sulla necessità di sostenere la guerra e sul risultato positivo che questa porterà al loro paese, grazie alle scelte giuste del loro leader.

È già complicato da sostenere con la propaganda quanto successo, figurarsi se ci fossero anche dichiarazioni ufficiali di Kiev (o di Washington e Bruxelles) sui fatti. Ci sono però le immagini di Novofedorivka beach – spiaggia nei pressi di Zaki – da dove le famiglie di villeggianti russi sono state costrette a fuggire, tornare nei resort e fare le valigie per rientrare poi nel loro Paese. Mosca ha pubblicizzato la Crimea come un luogo turistico, rimasto tale – e sicuro – anche durante la guerra.

E invece le persone su quelle spiagge hanno visto alzarsi enormi nuvole di fumo e fiamme, hanno visto arrivare la guerra – come lo ha visto tutto il resto del mondo, ma quello è un problema relativo, visto che il Cremlino controlla la diffusione delle informazioni in Russia.

E per i testimoni oculari è pure difficile credere che il danno è stato minimo, come dice il governo russo. Anche perché a distanza di un chilometro i vetri sono esplosi per l’onda d’urto, e dunque figurarsi cosa può essere successo agli aerei nella base (per Kiev nove caccia sono andati completamente distrutti).

Dopo che martedì si è diffusa la notizia delle esplosioni, Margarita Simonyan, direttrice dell’emittente statale RT e portavoce della narrazione del Cremlino, ha definito su Twitter la penisola come una “linea rossa”. Più tardi, in serata, il presidente ucraino ha tenuto un discorso notturno incentrato sulla Crimea. “La guerra è iniziata con la Crimea e finirà con la Crimea, con la sua liberazione”, ha detto Zelensky.

Attaccando in un territorio che i russi ritenevano sicuro, l’Ucraina potrebbe cambiare i calcoli della guerra, costringendo Mosca a ridisporre le difese e dimostrando che attualmente la capacità anti-aerea russa è scarsa. Questo comporta assestamenti tattici, che potrebbero in generale aver ripercussioni sul corso della guerra. Di più: se Kiev dimostra capacità di azione efficace, i governi occidentali che gli forniscono armi potrebbero essere portati ad aumentare quantità e qualità di queste forniture (che spesso hanno avuto dei limiti nell’utilizzo).

Di Emanuele Rossi. (Formiche)