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Ayman al-Zawahiri è morto (e con lui si chiude un’epoca)

(Roma, 02 agosto 2022). Ayman Muḥammad Rabīʿ al-Ẓawāhirī, più noto semplicemente come Ayman al-Zawahiri, è morto. Il medico del più famoso terrorista del XXI secolo, Osama bin Laden, ha trovato la morte in Afghanistan e ad ucciderlo, al termine di una rocambolesca caccia all’uomo durata all’incirca un ventennio, sarebbe stato un drone degli Stati Uniti.

Con la scomparsa del co-fondatore e capo di Al-Qāʿida, succeduto a Bin Laden nel 2011, si apre un nuovo capitolo dell’infinita e senza confini Guerra al Terrore lanciata dalla presidenza Bush Jr all’indomani degli attentati dell’11 settembre 2001. E si aprirà anche una lotta per lo scettro, a meno che il chirurgo terrorista non avesse già predisposto il testamento – il che è (più che) possibile. Una cosa è certa: insieme ad al-Zawahiri muore un’intera epoca.

Morte di un fantasma

Prima che il giornalismo definisse Bin Laden un fantasma – titolo aggiudicato dopo essere scomparso dalla battaglia di Tora Bora del 2001 –, un altro seguace del jihād globale vantava la fama di imprendibile e sfuggente terrorista da molto più tempo, cioè dai primi anni Novanta: Ayman al-Zawahiri.

Adombrato dal carisma e dalla fama di Bin Laden, l’uomo-immagine di Al-Qāʿida, al-Zawahiri aveva cominciato la sua carriera partecipando alla grande cospirazione dei Fratelli Musulmani contro Anwar Sadat ed era un contenitore vivente di segreti indicibili relativi ai peccati delle grandi potenze. Con lui, morto da qualche parte in Afghanistan tra fine luglio e inizio agosto del 2022, viene seppellita (per sempre) anche la storia oscura, e mai indagata a fondo, del suo doppiogioco con FSB e terrorismo nordcaucasico ai tempi della prima guerra cecena.

Al-Zawahiri è morto come è vissuto: avvolto dall’ignoto. Colpito in un luogo sconosciuto dell’Afghanistan – sebbene sembra che si trovasse nel ricco quartiere di Kabul, Wazir Akbar Khan, al momento della neutralizzazione –, in un giorno sconosciuto – tra il 28 e il 31 luglio –, da una bomba sganciata da un drone teleguidato da un soldato statunitense senza volto, operante da una base segreta localizzata da qualche parte degli Stati Uniti.

L’operazione è stata condotta nella massima segretezza, senza vittime collaterali – secondo la versione degli Stati Uniti –, e porterebbe la firma della Central Intelligence Agency, che avrebbe lavorato al piano per oltre sei mesi prima del via libera della Casa Bianca. Non è da escludere che l’omicidio mirato sia avvenuto con il benestare del governo talebano, controllore pressoché totale del territorio – e delle spie ivi residenti – da quasi un anno, come sembra trapelare dal suo primo comunicato, scarno e con un tono di protesta troppo formale.

Biden: “Giustizia è fatta”

Nella notte, all’1.30 ora italiana, il presidente Usa Joe Biden ha confermato l’operazione: “Giustizia è fatta, questo leader terroristico non c’è più”, ha detto affacciandosi dal balcone della Casa Bianca – dove è di nuovo in isolamento a causa del covid. “Miei concittadini americani sabato, su mio ordine, gli Stati Uniti hanno concluso un raid aereo a Kabul, nel quale è stato ucciso l’emiro di al Qaeda”. “Al Zawahiri è stato con Bin Laden tutto il tempo, era il suo numero due, il suo vice al momento degli attacchi dell’11 settembre, era profondamente coinvolto nella pianificazione, uno dei maggiormente responsabili per gli attacchi che hanno ucciso 2.977 persone sul suolo americano”. Il presidente ha citato tutti gli attacchi attribuiti al medico egiziano e ricordato i video di cui fu protagonista nei quali incitava ad attaccare l’America ed i suoi alleati. “Adesso è stata fatta giustizia, questo leader terroristico non c’è più. La gente nel mondo non deve avere più paura di questo leader feroce e determinato. Gli Stati Uniti continuano a dimostrare la loro determinazione e capacità di difendere il popolo americano contro coloro che vogliono colpirci”.

Al-Zawahiri è la fine di un’epoca

Venticinque milioni di dollari. Tanto valeva la testa di al-Zawahiri, il genio che aveva scelto il male. Genio perché, prima di e oltre che essere un terrorista, era stato uno studente modello all’università, poi un chirurgo rinomato con un record di operazioni in tutto il mondo come parte della Croce rossa e Mezzaluna internazionale, uno scrittore e anche un padroneggiatore di lingue – era poliglotta. Qualità e doti messe al servizio di un’Idea, la guerra all’Occidente e ai regimi munāfiqūn del mondo islamico, dopo aver percepito come un trauma la Guerra dei sei giorni ed essere stato esposto alle tesi di Sayyid Qutb.

Insieme ad Al-Zawahiri muore un’intera epoca, quella della generazione di jihadisti stregati dal qutbismo e plasmati dall’invasione sovietica dell’Afghanistan e dalle guerre iugoslave, e si conclude definitivamente il capitolo della War on Terror cominciato nel 2011 con l’eliminazione del suo capo, bin Laden. Ma l’epopea di Al-Qāʿida (e del jihadismo) continuerà.

Nuovi nomi sono già pronti a portare avanti la missione dei padri fondatori della Base. E alcuni di essi hanno le spalle già un ventennio di formazione sul campo, ovvero di combattimenti contro gli infedeli e di partecipazione ad operazioni di alto profilo. Tra di loro, secondo gli analisti del settore, i più papabili sarebbero Saif Al-Adel, Abdal Rahman al-Maghrebi, Yazid Mebrak e Ahmed Diriye. Nomi oggi sconosciuti, ma di cui molto presto si potrebbe sentir parlare di più.

Di Emanuel Pietrobon. (Inside Over)

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