Iraq: assalto al parlamento: la folla contesta la candidatura di un premier vicino all’Iran

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(Roma, 29 luglio 2022). L’ex primo ministro Nuri al Maliki si è fatto fotografare con un fucile in mano poco dopo l’irruzione al palazzo istituzionale e ha descritto l’intrusione come una palese violazione del diritto di manifestare

Hanno fatto il giro del mondo le immagini della folla festante, composta per lo più sostenitori del leader sciita iracheno Muqtada al Sadr, penetrata all’interno del Parlamento situato nella Zona verde di Baghdad, la cittadella fortificata sede degli edifici governativi e delle ambasciate straniere. Un episodio che ha riportato alla mente l’assalto a Capitol Hill, negli Stati Uniti, del 6 gennaio 2021, e che ha un significato politico ben preciso: l’Iran non esercita più la stessa influenza che aveva in passato sull’Iraq. I dimostranti, entrati con la compiacenza delle forze di sicurezza, hanno intonato slogan contro Teheran, sventolato bandiere irachene e protestato contro la nomina a primo ministro di Mohammed al Sudani, esponente dei partiti considerati vicini all’Iran. Ex ministro ed ex governatore provinciale, Al Sudani è stato nominato premier del Quadro di coordinamento sciita, formazione politica che riunisce partiti iracheni filo-iraniani.

I manifestanti si sono ritirati solo quando Al Sadr ha chiesto loro di “tornare a casa” dopo aver “terrorizzato i corrotti“. Ma c’è un’altra immagine, drammatica, che spiega meglio delle parole la situazione in Iraq. L’ex premier e leader della Coalizione per lo Stato di diritto Nuri al Maliki, capo del governo all’epoca della condanna a morte di Saddam Hussein, si è fatto fotografare con un fucile in mano, scortato da un gruppo di uomini armati, mentre si aggirava per le strade della Zona verde poco dopo l’assalto al Parlamento. Un’immagine che evoca la memoria di Salvador Allende, presidente democratico del Cile, immortalato con elmetto e mitraglietta nel palazzo presidenziale sotto bombardamento prima di essere ucciso. Il contesto iracheno è, ovviamente, completamente diverso: Al Maliki non è mai stato in reale pericolo, i dimostranti si erano già ritirati e la scelta di imbracciare le armi a favore di telecamera è chiaramente una “sfida” ai suoi rivali politici.

Al Maliki, che insieme ad Al Sudani era uno dei principali candidati alla premiership, ha condannato l’intrusione in Parlamento, descrivendola come una palese violazione del diritto di manifestare. La Coalizione per lo Stato di diritto di Maliki fa parte del Quadro di coordinamento sciita, insieme del partito Al Fatah di Hadi al Amiri, il Partito Hikma guidato da Ammar al Hakim e l’Alleanza Nasr guidata dall’ex primo ministro Haider al Abadi. La scelta di nominare Al Sudani come primo ministro è stata presa all’unanimità durante un incontro che si è svolto a Baghdad presso l’abitazione di Al Amiri, che è anche il leader della coalizione sciita paramilitare delle Forze di mobilitazione popolare (Fmp). Al Sudani è uno dei leader del partito islamico Dawa, è stato ministro dei Diritti umani durante il governo di Nuri al Maliki dal 2010 al 2014 e governatore della provincia di Maysan tra il 2009 e il 2010.

Dopo mesi di trattative non andate in porto, lo scenario iracheno si è complicato ulteriormente lo scorso mese di giugno con le dimissioni ordinate dal leader sciita nazionalista Muqtada al Sadr ai deputati del suo partito, il Movimento sadrista. Infatti, il Quadro di coordinamento sciita, che si è visto assegnati la maggioranza dei seggi lasciati dai sadristi in virtù della legge proporzionale su base confessionale del Paese, fatica a creare un fronte compatto con gli ex alleati sadristi, ovvero il blocco sunnita e il Partito democratico del Kurdistan (Pdk), principale formazione curda del Paese. Ai partiti curdi, peraltro, spetta il nome da presentare congiuntamente alla presidenza della repubblica, carica che in accordo all’implicito patto post-2003 che regola la vita politica inter-confessionale irachena spetta ai curdi.

Da segnalare, infine, la visita del in Kurdistan comandante della forza Quds dei Guardiani della rivoluzione iraniana, Ismail Qaani. Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa irachena “Shafaq”, citando fonti politiche informate, Qaani avrebbe tenuto incontri con esponenti dell’Unione patriottica del Kurdistan (Puk), formazione politica del clan Talabani, considerata vicino alle istanze di Teheran. A detta delle fonti, le parti hanno discusso della nomina del futuro presidente, questione al centro di una disputa con il Partito democratico del Kurdistan. Il comandante iraniano, in particolare, avrebbe esortato i propri interlocutori a rinunciare ad avere un proprio rappresentante per la presidenza di Stato, in cambio di altre posizioni e titoli nel governo iracheno.

(Nova News)