(Roma, 18 novembre 2021). Le esercitazioni militari sono il miglior termometro per capire lo stato delle relazioni tra Paesi. E quelle tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrain, con la regia degli Stati Uniti, sono un fatto da non sottovalutare. Cinque giorni di manovre militari nel Mar Rosso che servono non solo a migliorare le capacità di coordinamento tra le rispettive forze navali, ma anche (e soprattutto) a mandare un segnale nei confronti di tutta la regione.
Per i quattro Paesi coinvolti nelle esercitazioni, quanto avvenuto in questi giorni nel Mar Rosso è la certificazione di quel processo iniziano in via sotterranea negli anni passati e reso pubblico con la stipula degli Accordi Abramo. Quel patto, con la regia di un Donald Trump che aveva puntato tutto sulla ricomposizione parziale delle relazioni tra Stati arabi e Israele, ha significato una svolta formale a un avvicinamento sostanziale che già era chiaro agli analisti ben prima che fosse ufficializzato l’accordo. Una sinergia che per i Paesi che prendono parte agli accordi ha una differente utilità a seconda della propria agenda, ma che almeno per il momento si fonda su un unico vero obiettivo strategico: l’Iran. Un nemico comune, collante perfetto per un’alleanza che certamente non poggia su solide basi strategiche e tantomeno di obiettivi comuni, ma che in questo momento è una soluzione tattica ideale per tutti i Paesi che vogliono fermare Teheran.
L’esercitazione di cinque giorni nel Mar Rosso da parte di Israele, Bahrain, Emirati e Stati Uniti è quindi il simbolo di un’armonizzazione dei rapporti regionali che ha come obiettivo quello di mostrare a tutti gli attori regionali che questi Paesi si muovono in sintonia. Ed è una questione che è importante non soltanto per l’Iran. La Repubblica islamica è certamente il primo indiziato dal momento che con lo Stato ebraico persegue una guerra ombra che ha proprio nel mare uno degli scenari più inquieti, al pari dei Paesi del Golfo. Sequestri e attacchi alle petroliere, esercitazioni a fuoco vivo nel Golfo Persico, sabotaggi in tutte le acque che circondano la Penisola arabica e una serie di operazioni delle unità di intelligence condizionano quel settore marittimo da ormai diversi anni. E la scelta di far partire queste esercitazioni proprio con le flotte è un segnale di costante interesse per il Mar Rosso, il Mare Arabico e il Golfo. Segnale che serve anche gli Emirati Arabi Uniti per ribadire che l’importanza del dominio marittimo non è solo una questione iraniana, ma anche delle forze militari dall’altra parte del mare. Specialmente mentre anche l’Iran si esercita con la sua flotta e un drone sorvola le navi della Marina americana.
Se l’intento è avvertire l’Iran di quanto sia sempre più chiara una sinergia delle forze israeliane ed emiratine – già evidenziata in altri settori, in particolare nel Mediterraneo orientale – non va però dimenticato anche un altro attore regionale interessato a quanto avviene in Medio Oriente: la Turchia. Un Paese che con gli Stati coinvolti nelle esercitazioni, e negli Accordi di Abramo ha un rapporto molto complesso.
Dal lato israeliano, in questi giorni la tensione con Ankara è salita per l’arresto e il rilascio in una coppia di cittadini dello Stato ebraico, accusati di spionaggio dopo aver fotografato la residenza presidenziale. Con Recep Tayyip Erdogan, i rapporti tra Ankara e Gerusalemme non sono mai apparsi idilliaci, anzi, il Sultano ha spesso sfruttato la questione palestinese per sostenere le sue velleità di leadership del mondo arabo-musulmano. Tuttavia non va dimenticato che i due Stati non sono sempre stati avversari. E lo dimostra il fatto che questa sinergia è stata confermata anche sul fronte del Caucaso, con il sostegno di entrambi all’Azerbaigian. Questo pur essendo discordi sia per quanto riguarda le rotte del gas, sia i rapporti con altri attori regionali. Dal lato emiratino, invece, la Turchia è in aperta contrapposizione da quando ha cementato la sua alleanza con il Qatar. Una sfida che si è proiettata anche in Africa e nel Levante ma che adesso vede primi spiragli di aperture. Il quotidiano filo-governativo turco Daily Sabah ha rivelato che il principe ereditario degli Emirati Arabi Uniti, Mohammed bin Zayed, andrà presto in Turchia per una visita ufficiale. È la prima in dieci anni e rappresenta sicuramente una svolta. I due Paesi vogliono migliorare le loro relazioni, e mentre Ankara necessita degli investimenti arabi, Abu Dhabi sembra molto interessata all’industria della difesa della Mezzaluna e a operare in territorio turco con i suoi finanziamenti. Le esercitazioni segnalano che Israele ed Emirati sono già uniti nel sostenere una politica comune nella regione e la Turchia non può certamente fare a meno di riflettere su questi nuovi equilibri in cui Erdogan può tentare una nuova svolta tattica.
Di Lorenzo Vita. (Il Giornale/Inside Over)