(Roma, 06 novembre 2021). Il mercato libico della ricostruzione, dal valore di circa 111 miliardi di dollari, ha attirato l’attenzione di diversi gruppi internazionali. Al momento, la Turchia sembra essere in prima linea, superando altresì concorrenti italiani, cinesi e francesi. Tuttavia, una eventuale fase di instabilità politica potrebbe apportare nuovi cambiamenti.
Tali considerazioni sono state riportate dalla rivista “The Africa report”, la quale mette in luce come in Libia, Paese devastato da un decennale conflitto, scoppiato nel 2011, la lista dei progetti infrastrutturali da realizzare continui ad aumentare, comprendendo, tra gli altri, aeroporti, strade e centrali elettriche. Come affermato dal primo ministro ad interim, Abdulhamid Dabaiba, il 27 agosto scorso, data in cui è stato lanciato il programma di sviluppo “Reviving Life”, al momento la priorità è riprendere soprattutto i lavori nei cantieri già avviati. Tuttavia, i diversi attori internazionali sembrano essere frenati da una serie di fattori, tra cui il mancato accordo sulla legge di bilancio, le divergenze che vedono coinvolta la compagnia petrolifera statale, la National Oil Corporation (NOC), e le incertezze che accompagnano il processo elettorale. Come raccontato da un imprenditore francese in Libia, anche sul campo vi sono chiare divisioni, come mostrato dal fatto che spostarsi da Tripoli a Bengasi è molto difficile se non si dispone dei permessi di viaggio richiesti. Alla luce di ciò, “l’attuale instabilità è troppo grande per consentire alle società straniere di tornare”, ha affermato un esperto di economia libico, Suleiman Alshahomy.
Nonostante ciò, stando a quanto riporta The Africa report, le aziende della Turchia hanno continuato i propri affari. Sin dal 2009, Ankara ha appoggiato il Governo di Unità Nazionale (GNA) guidato da Fayez al-Sarraj, lanciando progetti, al momento ancora incompiuti, dal valore di circa 29 miliardi di dollari e giungendo agli accordi del 29 novembre 2019 in materia di cooperazione commerciale, marittima e in materia di difesa. Da allora, imprenditori e aziende turche, tra cui il colosso AlBayrak, hanno firmato successivi memoranda di intesa. In tale quadro, il Foreign Economic Relations Board of Turkey (Deik) è considerato il capofila. Il suo presidente, Murtaza Karanfil, opera in Libia attraverso il conglomerato Karanfil Group, società attiva nel settore delle costruzioni. Questa, a febbraio scorso, ha costruito uno dei maggiori impianti di betonaggio, investendo un totale di 50 milioni di dollari.
A detta del The African report, il colosso edilizio turco, Albayrak Group, ha lanciato una “offensiva” nei mercati libici. Il conglomerato con sede a Istanbul, di proprietà della famiglia Albayrak e vicino al presidente Recep Tayyip Erdogan, è presieduto da Omer Bolat, ex presidente dell’organizzazione dei datori di lavoro islamista Müsiad. Ad agosto, sulla scia dell’alleanza formata tra Ankara e il governo di Tripoli in seguito all’attacco di Haftar a Tripoli nel 2019, Albayrak Group ha risposto a un bando, nella speranza di aggiudicarsi il contratto per la costruzione di un nuovo terminal all’aeroporto internazionale di Tripoli. L’Ente per l’aviazione civile libica aveva stimato che l’ampliamento dell’aeroporto avrebbe avuto un costo totale pari a 2,1 miliardi di dollari. Albayrak, inoltre, sta anche negoziando il contratto di concessione dei terminal portuali della zona franca di Misurata (MFZ). Si tratterebbe di una mossa strategica, considerato che l’MFZ è il più importante hub logistico della Libia.
Al contempo, le società turche si stanno affermando nel settore dell’elettricità, dove collaborano con la General Electricity Company of Libya (GECOL), oltre che in quello di petrolio e gas. Il 6 gennaio scorso, la società turca ENKA, insieme a Siemens, ha firmato un contratto con GECOL per la costruzione di due centrali elettriche, una nei pressi della capitale e l’altra nella città portuale di Misurata. La prima è una centrale elettrica a ciclo semplice da 671 MW, mentre la seconda si prevede produrrà circa 650 MW. I due progetti hanno un valore pari a circa 700 milioni di euro. Prima che la Libia precipitasse nel caos nel 2015, ENKA aveva quasi completato una nuova centrale elettrica di estrema necessità a Obari, nel Sud del Paese. A una terza società turca, la Rönesans Holding, guidata da Erman Llicak, presumibilmente vicino al presidente Recep Tayyip Erdogan, è stato affidato un progetto per la costruzione di altre tre centrali elettriche.
In tale quadro, “la Cina, insieme alla Turchia, sarà uno dei grandi vincitori quando si tratta di rilanciare i vecchi contratti e il mercato della ricostruzione”, ha affermato Alshahomy. Come sottolineato da The Africa report, il presidente cinese, Xi Jinping, è rimasto neutrale nel conflitto libico, presumibilmente con l’obiettivo di salvaguardare gli interessi economici cinesi nella regione. Ad ogni modo, secondo l’esperto di economia, “la Libia rappresenta un mercato rilevante per la Cina, in quanto fa parte della sua strategia di dispiegamento economico in Africa”. In realtà, Pechino era attiva già prima della rivoluzione e, nel 2011, aveva un fatturato di quasi 18,8 miliardi di dollari in Libia. Al momento, il gruppo statale China State Construction Engineering (CSCE) sta negoziando il rilancio di progetti di costruzione a Bengasi, tra cui quello relativo a 20.000 abitazioni. In un primo momento, era stato previsto un investimento totale di 2,67 miliardi di dollari in questi progetti, di cui solo la metà è stata completata. Inoltre, anche la Cina, in collaborazione con i suoi gruppi statali quali National Pipeline Corporate, Sinopec Group e China National Offshore Oil Corporation, stava costruendo infrastrutture petrolifere.
Un altro attore rilevante per lo scenario libico è l’Egitto, sostenitore dell’Esercito Nazionale Libico (LNA) nel corso del conflitto. Il Cairo, al momento, sembra voler conquistare una fetta del mercato nel vicino Nordafricano, come mostrato dalla ripresa dei contatti del presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi, con Tripoli, già ad aprile scorso. L’obiettivo dell’Egitto potrebbe essere completare il progetto dell’autostrada di 585 chilometri, che collega Salloum a Bengasi, dal costo di 190,6 milioni di dollari. Tuttavia, anche i gruppi egiziani dovranno attendere le elezioni prima di avventurarsi nel Paese.
Nonostante i buoni rapporti con la GNA e gli imprenditori di Misurata, l’Italia, a detta del The African report, fa fatica a controbilanciare la Turchia. Tuttavia, Roma ha riportato in auge il progetto relativo a una strada costiera di 400 chilometri che collega Musaid ad Al-Marj, nella parte Nord-orientale del Paese Nord-africano. La firma di tale progetto, da 963 milioni di euro, risale al 2008, e a firmarlo sono stati l’ex dittatore deposto, Moammar Gheddafi e Silvio Berlusconi. I lavori, annunciati per la primavera del 2022, saranno gestiti dal gruppo italiano Salini Impregilo Group.
Quanto alle società francesi, capitanate dal gruppo edile Vinci, queste restano, per il momento, in disparte, nonostante vi siano stati incontri volti a preparare il ritorno di Parigi nel mercato libico. Ad ogni modo, per il The African report, tale “ritiro” è indice della politica diplomatica dell’Eliseo, sostenitrice del generale Haftar, la quale esercita maggiore influenza fuori Tripoli e Misurata, in regioni che non hanno ancora avviato progetti da poter considerarsi rilevanti.
Di Piera Laurenza. (Sicurezza Internazionale)