Ecco perché gli Stati Uniti cercano di ricomporre la frattura con la Francia post Aukus

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(Roma, 03 novembre 2021). Al recente vertice G20 tenutosi a Roma, il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha incontrato per la prima volta dopo la “crisi dei sottomarini” il suo omologo francese Emmanuel Macron. Durante il colloquio tenutosi a Villa Bonaparte, sede dell’ambasciata di Francia presso la Santa Sede, il presidente statunitense ha fatto una sorta di “ammenda” su quanto avvenuto quando ha affermato che gli Usa sono stati “goffi” non avendo usato “molta eleganza”. Un’insolita ammissione di colpa pubblica, a cui ha risposto il numero uno dell’Eliseo affermando che “bisogna guardare al futuro”.

Biden ha aggiunto che la Francia è un “partner prezioso, estremamente prezioso” gettando acqua sul fuoco dopo il culmine della crisi diplomatica scaturita dalla firma dell’accordo Aukus tra Australia, Regno Unito e Stati Uniti che ha determinato l’abbandono, da parte di Canberra, del programma franco-australiano per la costruzione di 12 nuovi sottomarini Shortfin Barracuda, versione Aip (Air Independent Propulsion) dei sottomarini da attacco a propulsione nucleare (Ssn) francesi.

Macron, di rimando, ha sottolineato la necessità di una “cooperazione rafforzata” tra i due Paesi, aggiungendo anche la volontà di rafforzare “il partenariato strategico tra Unione Europea e Nato”. Proprio questa è la chiave di lettura di quanto avvenuto a Roma tra i due leader: Washington guarda a Parigi come alleato chiave per poter avere peso politico nella definizione, e riteniamo anche gestione, della futura Difesa europea.

Non è un segreto che ci siano ambienti politici che, ora, guardano con favore alla nascita in seno all’Ue di una politica comunitaria nel campo della Difesa: se prima gli Stati Uniti hanno sempre osteggiato questa possibilità, ora, con la linea del fronte principale che si è spostata dall’Europa all’Estremo Oriente, quindi dalla Russia alla Cina, una Difesa marchiata Ue viene vista come una possibilità, per la Casa Bianca, di avere un forte alleato per badare alle intemperanze di Mosca in modo scollegato dai meccanismi Nato (di cui gli Usa sono i principali “finanziatori”) e da usare, alla bisogna, sul fronte asiatico, anche in considerazione delle maggiori richieste di sostegno europeo che arrivano dal Giappone, l’alleato statunitense che, insieme alla Corea del Sud, è geograficamente più vicino alla nuova minaccia cinese.

Gli Stati Uniti quindi potrebbero ora sostenere la causa della Difesa europea, essendo ben consci che sarebbe la Francia, se lasciata libera di predisporre le sue pedine, a guidarla. Non è un segreto che la diagnosi di “morte cerebrale” della Nato, elaborata dal presidente Macron non più tardi di due anni fa, sottintenda la volontà dell’Eliseo di porsi come leader della politica estera e di Difesa dell’Ue, anche e soprattutto grazie all’uscita di Londra dall’Unione. Finché è stata “in Europa”, la Gran Bretagna è sempre stata contraria a questa possibilità, avversando anche alcuni programmi per nuovi sistemi d’arma preferendo evitare di affidarsi ai meccanismi europei multilaterali.

Ora è la Francia, proprio in forza di questi programmi, a cercare di imporre la propria visione. Questa strategia è anche frutto degli accordi stipulati con la Germania: dopo il Trattato di Aquisgrana (2019), i due Paesi si sono sostanzialmente spartiti le reciproche competenze all’interno dell’Ue per costruire un’area franco-tedesca ed essere “il motore dell’integrazione europea”.

Una cooperazione tra Francia e Germania che assume anche sfumature militari: Parigi e Berlino garantiscono e assicurano fra di loro “ogni possibile aiuto e sostegno”, anche attraverso “strumenti militari”. Un sostegno che però, come abbiamo avuto modo di analizzare, non si traduce in un’efficace cooperazione nel campo del procurement militare: recentemente il naufragio del programma di sviluppo per un nuovo pattugliatore marittimo, il Maws, e la molto probabile fuoriuscita della Germania dall’Eurocopter Tiger – dopo quella dell’Australia – sono la cartina tornasole di un problema profondo di incompatibilità da questo punto di vista.

L’asse Berlino-Parigi però regge, e, per venire a questioni più nostrane, l’Italia dovrebbe approfittare di queste divergenze nel campo dei programmi di armamenti per inserirsi e cercare di, se non staccare la Germania dalla Francia, far diventare l’asse una triangolazione.

Nel frattempo la questione Aukus non sembra affatto essere giunta al termine: l’ambasciatore francese a Canberra, Jean-Pierre Thebault, ha affermato mercoledì 3 novembre al National Press Club, di ritorno in Australia dopo il suo breve richiamo a Parigi “per consultazioni” a settembre, che la firma dell’Aukus è stata una pugnalata alla schiena premeditata. Thebault ha infatti detto che il governo australiano ha “deliberatamente” tenuto all’oscuro la Francia sui suoi piani per accantonare il programma da 90 miliardi di dollari per i nuovi sottomarini, accusa che Scott Morrison, primo ministro australiano, ha respinto con veemenza.

Ad onor del vero Parigi avrebbe dovuto da tempo subodorare la mossa di Canberra. Gli australiani hanno sollevato ripetutamente perplessità sul programma Shortfin Barracuda per via della dilatazione dei tempi e conseguente lievitazione dei costi. Nel corso degli ultimi anni si sono levate diverse autorevoli voci critiche verso i sottomarini, considerati anche non idonei alle esigenze della Royal Australian Navy: un Paese come l’Australia, infatti, che è sostanzialmente un piccolo continente bagnato da due oceani, ha bisogno di unità a propulsione nucleare per poter effettuare efficacemente le missioni di pattugliamento nelle profondità marine. Gli Shortfin Barracuda, che sono a propulsione “convenzionale”, sebbene abbiano capacità di restare in mare per 90 giorni, comunque (anche per via dei costi che stavano accumulando) venivano considerati inferiori alle unità a propulsione atomica.

La questione Aukus quindi sembra ben lungi dall’essersi chiusa, con Parigi che ha solamente cambiato il bersaglio delle sue invettive, o per meglio dire eliminato gli Stati Uniti dall’elenco dei “cattivi”.

Di Paolo Mauri. (Il Giornale/Inside Over)