(Roma, 25 settembre 2021). Mikati incontra Macron durante la prima visita ufficiale in Francia da quando si è insediato il 10 settembre. E sbarca nel Paese, a rischio blackout entro la fine del mese, la seconda petroliera iraniana
«Esprimo la mia determinazione a implementare le riforme necessarie nel più breve tempo possibile per ridare fiducia e speranza ai libanesi e ridurre le loro sofferenze», l’impegno del neo-premier libanese dalla Francia, il miliardario Mikati, durante la prima visita ufficiale da quando si è insediato il 10 settembre.
Macron, che non aveva nascosto la sua insofferenza nei lunghissimi 13 mesi di trattative per la formazione dell’attuale governo, ha insistito sulla necessità di realizzare riforme che dovrebbero ridurre la corruzione, stabilizzare il sistema bancario, realizzare infrastrutture. In sostanza gli stessi temi già ampiamente trattati nelle conferenze Parigi I, II e III (2001-2002-2007), Stoccolma e Conferenza dei Cedri (2006-2018), che vincolavano in teoria tutti gli aiuti economici stanziati a riforme sociali.
La differenza è che ora in Libano, essendo la bolla finanziaria che ha falsato l’economia degli ultimi 10-15 anni scoppiata, è in atto la più profonda crisi che il paese abbia mai vissuto. Bloomberg ha appena classificato l’inflazione libanese la più alta al mondo.
NUMERI DA TRISTI PRIMATI sono anche quelli della diaspora, con le ambasciate di qualunque altro posto al mondo inondate di richieste, o quelli di Embrace, l’unica ong che ha un numero verde per la prevenzione dei suicidi.
Il paese rischia, secondo Eletticità del Libano, la discussa compagnia semi-statale che già in tempi normali non soddisfa il bisogno nazionale e che quindi costringe la popolazione a fornirsi presso generatori privati sparsi ovunque -i libanesi parlano di mafia dei generatori-, il blackout totale entro la fine del mese, perché sta dando fondo alle ultime riserve. La scarsità di carburante da mesi ormai ha conseguenze su qualsiasi settore della vita pubblica e privata.
L’elettricità è razionalizzata, i trasporti interamente su gomma sono in pratica paralizzati, le file ai distributori sono chilometriche. I prezzi continuano a salire perché lo stato non riesce più a calmierarli. Oltre che alle abitazioni, non si riesce a garantire energia nemmeno agli ospedali.
In questo clima si inserisce la polemica sulle due petroliere iraniane destinate al Libano, di cui Hezbollah si è fatto tramite. La seconda è arrivata ieri a Baniyas, nella regione siriana di Tartus. Siria e Iran sono sotto sanzione Usa. Per Mikati si tratta di una violazione della sovranità libanese, mentre il Partito di Dio parla di distribuzioni non soltanto ai suoi, ma a ospedali, scuole e a chi ne avrà bisogno, senza distinzione politica.
C’è inoltre scarsità di medicinali, beni di prima necessità, mentre il poco che si trova è a prezzi proibitivi.
AL CENTRO DELL’INIZIATIVA francese, nata all’indomani dell’esplosione del 4 agosto 2020 al porto che ha causato oltre 200 vittime, 7mila feriti e 300mila sfollati e distrutto interi quartieri della capitale, c’è per Macron «il diritto (dei libanesi) di conoscere la verità» sulla deflagrazione non-nucleare più massiccia della storia. L’Eliseo prova a riprendersi un posto di prim’ordine in medioriente attraverso proprio l’ex protettorato, in un momento delicato in cui i rapporti francesi con l’estero sono in una fase di profonda mutazione.
Anche il presidente Aoun, intervenuto ieri all’assemblea generale dell’Onu chiedendo aiuti al settore pubblico e privato per uscire dalla crisi, ha voluto «rassicurare i libanesi perché l’ultimo anno del mio mandato sarà quello delle riforme vere».
Una comunità internazionale che affida il cambiamento a quelle stesse persone che, al potere da decenni e responsabili della crisi, attuando le riforme colpirebbero sé stesse.
Di Pasquale Porciello. (Il Manifesto)