Pechino accusata di avere centri di detenzione all’estero

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(Roma, Parigi, 17 agosto 2021).  Una cittadina cinese di etnia han ha accusato la Cina di gestire strutture segrete di detenzione a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti (UAE), in un’intervista ad Associated Press del 16 agosto. Il Ministero degli Esteri cinese ha smentito la notizia sostenendo che si tratti di falsità.

Associated Press ha pubblicato un’intervista alla 26enne Wu Huan, la quale ha sostenuto di essere stata trattenuta per otto giorni in una struttura di detenzione segreta a Dubai con almeno altre 2 persone di etnia uigura, il 27 maggio scorso. Wu ha affermato di essere stata prelevata da un hotel della città emiratina, di essere stata trattenuta in una stazione di polizia locale e di essere stata poi imprigionata da funzionari cinesi in una villa convertita in una prigione, dove avrebbe visto o sentito altre due persone di etnia uigura. La donna sarebbe stata interrogata e poi minacciata in cinese, per poi essere forzata a firmare documenti legali nei quali incriminava il proprio fidanzato, Wang Jingyu, di averla aggredita.

Quest’ultimo è un 19enne di etnia han ricercato in Cina per aver postato messaggi in cui metteva in dubbio la copertura sui media delle proteste di Hong Kong del 2019 e le azioni cinesi durante gli scontri di confine con l’India. Il ragazzo è stato arrestato a Dubai lo scorso 5 aprile e da allora Wu  ha iniziato a rilasciare interviste e a mettersi in contatti con associazioni di cinesi dissidenti all’estero. Wu, invece, ha affermato di essere stata rilasciata l’8 giugno scorso e che, al momento, sta facendo richiesta di asilo nei Paesi Bassi, dopo essersi riunita con Wang in Ucraina l’11 giugno scorso.

Se confermate, le dichiarazioni di Hu potrebbero essere la prima prova rispetto alle accuse ricevute dalla Cina di gestire i cosiddetti “siti-neri” al di fuori dei propri confini. Secondo Associated Press, tale genere di luoghi sarebbe comune in Cina ma la testimonianza di Wu potrebbe essere la prima prova della loro esistenza all’estero. Se così fosse, ciò significherebbe che la Cina sta utilizzando in modo crescente la propria influenza per rimpatriare cittadini ricercati che si trovano all’estero. In particolare, i siti neri sarebbero carceri clandestine in cui i prigionieri solitamente non sono accusati di un crimine e non hanno assistenza legale, né cauzione, né ordine del tribunale. Secondo Associated Press, molti luoghi di tale genere in Cina sarebbero usati per fermare, ad esempio, i firmatari di petizioni contro i governi locali e spesso si tratta di stanze in alberghi o pensioni.

Il 16 agosto, la portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Hua Chunying, ha affermato ad Associated Press che tutta la storia di Wu è falsa. Anche la polizia di Dubai ha smentito la notizia, dichiarando che qualsiasi affermazione di una donna cinese detenuta dalle autorità locali per conto di un Paese straniero è falsa e che Wu è uscita liberamente dagli UAE con il suo amico tre mesi fa.

Secondo esperti citati dalla testata statunitense, sebbene non sia accertata la presenza di centri di detenzione a Dubai e possa essere dubbia, negli ultimi anni, la Cina avrebbe intensificato i tentativi di riportare i propri cittadini accusati di reati nel Paese. Oltre a questo, vari attivisti avrebbero affermato che a Dubai più uiguri sarebbero stati interrogati per poi essere estradati in Cina e che nella città vi sarebbero più centri di detenzione come i siti neri. Secondo un ex ambasciatore statunitense in Qatar, Patrick Theros, tuttavia, le accuse mosse agli Emirati sarebbero totalmente insolite e la possibilità che i cinesi possano avere un centro di detenzione a Dubai “non avrebbe alcun senso”.

Secondo Paesi per lo più occidentali, la Cina avrebbe perpetrato violazioni dei diritti umani della minoranza turcofona e musulmana degli uiguri, e non solo, nella regione dello Xinjiang, adottando politiche di repressione nei loro confronti. Il governo di Pechino, però, ha sempre negato qualsiasi forma di oppressione nei confronti degli uiguri. Per Pechino, tra la minoranza vi sarebbero dei militanti coinvolti nell’organizzazione terroristica East Turkestan Islamic Movement (ETIM), fondata nel 1993 da gruppi di jihadisti di etnia uigura provenienti proprio dalla regione autonoma cinese dello Xinjiang, il cui obiettivo sarebbe quello di istituire uno Stato islamico indipendente nel Turkestan dell’Est, termine utilizzato oggi dai separatisti per riferirsi allo Xinjiang. La Cina ha accordi di estradizione con vari Paesi che sono stati utilizzati per riportare nel Paese cittadini uiguri accusati di terrorismo.

Camilla Canestri. (Sicurezza Internazionale)