Libano: strategico per molti ma non per tutti

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(Roma, 30 giugno 2021). Il Mediterraneo, mare inquieto che ha tenuto a battesimo civiltà, filosofie, religioni, padre salmastro che ha accolto popoli i cui epigoni ancora popolano le sue sponde. Chissà con quale animo i fenici guarderebbero ora alla loro terra, spogliata dei cedri rimasti in effigie solo sulla bandiera.

Il maronita Khalil Gibran ha scritto che “Se il Libano non fosse stato il mio Paese, lo avrei scelto comunque”, mentre una diffusa plaisanterie asserisce che Dio abbia creato in Libano il Paradiso ma, ricordatosi di averlo riservato all’aldilà, abbia poi generato piccoli e grandi tizzoni d’inferno d’attorno.

Ferlinghetti, ispirandosi a Khalil Gibran, ha scritto: Pietà per la nazione i cui uomini sono pecore, e i cui pastori sono guide cattive, Pietà per la nazione i cui leader sono bugiardi, i cui saggi sono messi a tacere, Pietà per la nazione che non alza la propria voce, tranne che per lodare i conquistatori, e acclamare i prepotenti come eroi… sono versi che, purtroppo funzionali per molti, troppi contesti, mai come ora si attagliano all’odierno Libano, sconvolto da una crisi finanziaria senza precedenti, comparabile solo con l’abisso dello Zimbabwe di Mugabe; il Libano, ferito dalla dabbenaggine di uno Stato che, dimenticate per anni migliaia di tonnellate di nitrato d’ammonio in un silo, rimane un’incongruenza politica, se si pensa alla sua sopravvivenza posta in bilico tra Siria, alla disperata ricerca di fondi per la ricostruzione, ad Israele, agli appetiti delle grandi potenze, ed al fatto che è sempre stato l’indicatore di tutti i conflitti regionali. Un esempio: il dialogo con il Cremlino, che riconosce Hezbollah, è funzionale all’espansione dell’influenza russa dalla Siria al Mediterraneo orientale.

In ogni caso il Libano (1) rimane un Paese strategico per molti: per la Francia, per i suoi legami storici, ma anche per l’Italia, che resta, in Europa, tra i principali fornitori di prodotti, ed è a capo della missione UNIFIL.

Il Libano moderno nasce nel 1943 e, da allora, le principali cariche istituzionali (2) sono state affidate alle tre grandi comunità nazionali: cristiani maroniti, musulmani sciiti e sunniti, mentre il parlamento è stato diviso su linee settarie prevedendo diversi credo religiosi in un melting pot che, dal 1990, ha preservato il potere politico attraverso un sistema clientelare.

Un tempo fluente centro finanziario, caratterizzato da una densità fin troppo variegata di confessioni ed etnie, il Libano ha visto svanire il suo futuro tra le volute di fumo di una guerra civile durata 15 anni, seguita da una spartizione di potere che, pur garantendo una democrazia consociativa confessionale, ha salvaguardato un complesso di interessi settari che tutt’ora impedisce soluzioni istituzionali e finanziarie.

Qualsiasi prestito da parte del FMI impone riforme che esigono la ristrutturazione sia del debito sia dell’architettura di potere vigente, intervenendo su un sistema così distorto da consentire la legittimazione di un partito che, nel realizzare un suo network sociale e militare, è divenuto esso stesso Stato: lo sciita Hezbollah, in conflitto permanente con Israele e dipendente da Teheran, politicamente radicata in una regione attraversata da violenti conflitti interni (3); una scelta strategica che accompagna le dichiarazioni di Hassan Nasrallah che promette Beirut ai cinesi, dimenticando quanto poco questi siano versati per gli interventi caritatevoli. Non a caso le attività economiche di Hezbollah, innalzato a simbolo dell’opposizione all’IS, si estendono in Africa e Sud America, con un controllo pervasivo sui porti libanesi dove, pur in regime sanzionatorio, sta giungendo petrolio iraniano; il tutto in attesa dell’esito delle negoziazioni JCPOA tra l’Iran del neo Presidente Raisi e l’Amministrazione Biden, mentre l’Arabia Saudita, che cerca di riallacciare i rapporti con la Siria, rimane sullo sfondo insidiata dal Qatar.

Hezbollah di fatto, nel voler plasmare il nuovo Libano a sua immagine, è entrato in competizione con le FA, e sta esprimendo la sua opposizione all’intervento finanziario occidentale, godendo dell’appoggio schizofrenico di una classe politica attenta alla preservazione del potere.

Da non trascurare l’associazione al Qard al Hasan (4) hackerata nel dicembre 2020 dal gruppo anonimo SpiderZ, che ne ha evidenziato la rilevanza quale braccio finanziario di Hezbollah, e che fornisce prestiti senza interessi contro garanzie collaterali, come oro o garanzie di terzi, con un volume di prestiti in aumento malgrado le sanzioni (5).

Il Dipartimento del Tesoro USA ha punito AQAH già da luglio 2007, rilevando come l’attività finanziaria dell’Associazione abbia dato ad Hezbollah « l’accesso al sistema bancario internazionale ». Hezbollah ha di fatto utilizzato gli uffici di cambio come punti di passaggio per trasferire i proventi dalle sue imprese (6) nel settore bancario libanese, dove i fondi vengono riciclati grazie ad Hawala, un canale di rimessa parallelo che consente di trasferire denaro, senza spostarlo, attraverso un sistema che registra le transazioni di credito e debito. Le agenzie di cambio libanesi assicurano dunque un servizio sia alla BAC (7) sia alle banche commerciali che, complici, preferiscono queste istituzioni intermediarie per gestire le consegne di contanti all’ingrosso. Del resto, l’assetto istituzionale scaturito negli ultimi decenni si è sostanziato in un governo confessionale immaginato per soddisfare le esigenze delle singole parti; non a caso la Banca Mondiale ha stimato in un 9% di PIL le spese indotte dalle spartizioni settarie, dalla corruzione, dall’influenza esercitata da Hezbollah su cui il governo si poggia.

Tenuto conto che la crisi del 2019, ufficializzata con il default del 2020, è stata indotta da una bolla speculativa determinata dalla Banca Centrale, sembra sempre più difficile che la situazione possa essere sbloccata con semplici aiuti esogeni o con prestiti del FMI, scettico sulle chance libanesi di ripianare i debiti, visto che, di fatto, la strada intrapresa sta conducendo rapidamente ad una disastrosa venezuelizzazione, simboleggiata dalla recente penuria di carburante e dall’intermittenza dell’erogazione dell’energia elettrica.

Tenuto conto che anche durante la guerra civile il Libano ha comunque ottemperato ai suoi pagamenti, va detto che la Banque du Liban ha finanziato i deficit di bilancio vendendo al sistema bancario interno (8) debito pubblico ed Eurobonds in cambio della valuta estera presso di lei depositata, e sulla quale venivano riconosciuti rendimenti elevatissimi, cosa che ha permesso di reperire le risorse necessarie assicurando il regime di cambio fisso con il biglietto verde; tuttavia, a partire dal 2019 le banche locali hanno contingentato l’accesso alla valuta pregiata provocando prima la classica corsa agli sportelli, poi la sospensione del prelievo sui depositi.

A poco è servita la Rivoluzione dei cedri, innescata dai 350 kg di C4 che, piazzato nel febbraio 2005 sotto il manto stradale, ha dilaniato il primo ministro Rafiq Hariri secondo lo stesso copione adottato nel 1992 per il giudice Falcone: pur alla luce dell’allontanamento siriano avvenuto dopo l’attentato, gli avvenimenti odierni mostrano il ritorno di una pericolosa empatia Damascena.

Nel 2016, la travagliata elezione del maronita Aoun alla Presidenza della Repubblica, ha portato ad un governo incoerente, avendo sullo sfondo il conflitto siriano che più di una volta è stato sul punto di fagocitare il Libano in una spirale devastante; l’International Crisis Group ha lanciato allarmi ben precisi, secondo cui le dinamiche di oggi mostrano una strana somiglianza con quelle che hanno preceduto la guerra civile, e secondo i quali il Libano, dipendente dalle importazioni, ha esaurito la valuta estera necessaria a liquidare i consumi, e non è in grado di onorare il debito pubblico, con servizi primari inesistenti, una disoccupazione stimata tra il 30 e il 40 % e il tasso di povertà al 50%.

Se abbandonata a sé stessa l’economia genererà un’ulteriore emigrazione di manodopera qualificata determinando la chiusura delle imprese; la valuta non sarà ancorata, mentre l’iperinflazione spazzerà via redditi e ricchezza causando un conflitto armato peggiore di quelli già vissuti. Il PIL libanese è passato dai 55 miliardi di USD del 2018 ai quasi 33 del 2020, con un calo di quasi il 40%, cui si è unita la fluttuazione del tasso di cambio della lira rispetto allo USD che ha toccato le 17.000 lire con un aumento dell’inflazione dell’85% (9), frutto di un’inerzia politica che ha determinato una situazione ulteriormente esacerbata dal Covid, contenuto a stento e con una campagna vaccinale gestita in larga parte, come la distribuzione dei generi alimentari, dai gruppi politici, e dall’esplosione che, nell’agosto 2020, ha devastato il porto di Beirut.

Dato che l’iniziativa promossa dal presidente Macron per rilanciare l’economia libanese è di fatto fallita, J.Y. Le Drian (10) ha tenuto ad informare i politici libanesi che, nell’affrontare lo stallo che coinvolge Gebran Bassil, a capo del Movimento Patriottico Libero e genero del presidente Michel Aoun, e Saad al-Hariri, primo ministro designato che non gode dell’appoggio saudita che favorisce Nawaf Salam (11), sarebbero stati soli; soli in una competizione che vede attori politici che, lottando per non annegare nell’irrilevanza, rendono impossibile la formazione del governo. Bassil, non è in una posizione migliore rispetto all’antagonista Hariri, che comunque continua a puntare sull’appoggio di Ryadh e degli EAU, e mira alla successione ad Aoun, malgrado incorra nell’handicap delle sanzioni USA e nella scarsa considerazione popolare.

Non va infine dimenticato Nabih Berri, dal 1990 presidente del parlamento, che si oppone agli sforzi di Aoun e Bassil di formare un governo a loro favorevole. L’interesse strategico francese si contrappone a quello di Ankara, che ambendo riproporsi nel quadrante energetico cipriota, ha da un lato promesso a tutti i libanesi di origine turcomanna la nazionalità turca, e dall’altro ha incentivato l’invio di armi nel nord del Libano nel Wadi Khaled ed a Tripoli, città ricca di associazioni promosse dall’Agenzia turca per la Cooperazione e lo Sviluppo. In una sorta di beauty contest demagogico, per tentare di fare breccia nell’opinione pubblica, i partiti hanno continuato a basarsi sul principio politico identitario, e su interessi colpiti dal crollo del cambio valutario e dall’imminente revoca dei sussidi.

Nel frattempo continua, gestito da Hezbollah, il contrabbando di beni verso la Siria secondo un gioco delle parti che, tra i sopravvissuti highlander della Beqaa, non vedrà l’FPM (12) da un lato, ed il FM (13) di Hariri dall’altro. Questo porta a considerare tre aspetti: il primo è che la politica si stia preparando ad una dura stagione socio economica; il secondo che il sistema partitico stia cercando di imporre un compromesso tra lealtà e miseria nei confronti di una società colpita dal depauperamento di capitale umano e pronta ad azioni eclatanti; il terzo che lo Stato abbia del tutto perduto la sua ragion d’essere. Questo sempre che, nel 2022, la politica consenta la prevista tornata elettorale legislativa e presidenziale, che sia possibile determinare la misura dell’effettivo gradimento popolare dell’attuale maggioranza (14) anche in relazione alle sanzioni comminate in accordo al Global Magnitsky Act15, e che il Libano non divenga un proxy da sacrificare nello scontro con l’Iran, privilegiando invece l’istituzione chiave che trascende il settarismo: le Forze Armate, la spina dorsale del Paese.

Nel frattempo continua, gestito da Hezbollah, il contrabbando di beni verso la Siria secondo un gioco delle parti che, tra i sopravvissuti highlander della Beqaa, non vedrà l’FPM (12) da un lato, ed il FM (13) di Hariri dall’altro. Questo porta a considerare tre aspetti: il primo è che la politica si stia preparando ad una dura stagione socio economica; il secondo che il sistema partitico stia cercando di imporre un compromesso tra lealtà e miseria nei confronti di una società colpita dal depauperamento di capitale umano e pronta ad azioni eclatanti; il terzo che lo Stato abbia del tutto perduto la sua ragion d’essere. Questo sempre che, nel 2022, la politica consenta la prevista tornata elettorale legislativa e presidenziale, che sia possibile determinare la misura dell’effettivo gradimento popolare dell’attuale maggioranza (14) anche in relazione alle sanzioni comminate in accordo al Global Magnitsky Act (15), e che il Libano non divenga un proxy da sacrificare nello scontro con l’Iran, privilegiando invece l’istituzione chiave che trascende il settarismo: le Forze Armate, la spina dorsale del Paese.

L’Esercito rimane l’unico garante di stabilità, anche se ormai in competizione serrata con Hezbollah, in un contesto generale che ha indotto il generale Joseph Aoun, ricevuto all’Eliseo in quanto interlocutore più affidabile dei rappresentanti di partito, a prendere una posizione divergente quella politica. È qui che l’azione diplomatica e finanziaria occidentale dovrà indirizzare i suoi sforzi: mantenere l’operatività dell’Esercito libanese (16) è l’unica soluzione immediata che possa impedire il disfacimento di una regione e di uno Stato che l’Occidente non può permettersi il lusso di far collassare facendone dono alla teocrazia sciita.

Conclusioni. Al momento sono solo ipotizzabili 4 scenari: una continuazione della crisi che produrrà il passaggio agli altri 3, ovvero un improbabile miglioramento dovuto ad un governo tecnico; la definitiva conquista del potere da parte di Hezbollah; la più che probabile guerra civile.

Italia. Da un Paese dove il sottosegretario di Stato agli Affari Esteri, mentre la conta dei morti dell’esplosione di Beirut è ancora in corso, confonde il Libano con la Libia, è difficile trarre auspici positivi, tanto più che, in questi giorni, il main stream è invaso sia dai peana dedicati all’arte pedatoria di perenni adolescenti ricchi e viziati che scagliano demagogicamente via le magiche bottigliette che assicurano loro un’esistenza scandalosamente dorata, sia dall’epistemologia della genuflessione nichilista.

Che il Libano sia importante per l’Italia, sia in termini economici che di attività di intelligence è banale affermarlo, ma tant’è: la complessa arte della politica estera rimane appannaggio di pochi, e forse in Italia ancora non ce ne si è ancora avveduti.

Il Libano è un coup de théâtre, un trucco che ha permesso ad un’estensione territoriale grande quanto l’Abruzzo, di galleggiare in un oceano tempestoso, dove anche la Francia rimane interdetta, e dove forse l’unica strada percorribile è quella della guerra, come del resto già accaduto nel Sahel. Un percorso concettualmente poco accettabile al di là delle Alpi se è vero, come è vero, che il solo ricorso al supporto logistico delle FA per le vaccinazioni anti covid, ha scatenato oscuri timori ancestrali. I poli del potere sono mutati, ed il rimanere per l’ennesima volta al margine della plancia del gioco, non potrà che condannare l’Italia all’irrilevanza, visto che il Libano rischia di divenire il portale per il caos, e dove sulla crisi siriana il ministro degli Esteri ha invitato nell’ottobre scorso a fare “un – indefinito – piccolissimo passettino in avanti” verso Assad.

Rimanere nell’apparente sicuro recinto retorico del chiacchiericcio sulla pace, sul lungo periodo, non preserverà nessuno; Khalil Gibran ha scritto: “Nulla impedirà al sole di sorgere ancora, nemmeno la notte più buia. Perché oltre la nera cortina della notte c’è un’alba che ci aspetta.” All’alba, se possibile, però, sarebbe il caso di arrivarci incolumi e visibili.

Di Gino Lanzara. (Difesa On Line)

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1– Il Libano ospita 1 mln circa di rifugiati siriani su una popolazione residente di circa 6 milioni di abitanti
2– Presidente della Repubblica, presidente del Parlamento, primo ministro
3– Yemen, Siria, Libano, Iraq
4– Letteralmente prestito benevolo
5– da 76,5 milioni di dollari nel 2007 a 480 milioni nel 2019. La portata totale delle attività dell’Associazione dal 1983 fino alla fine del 2019 ammontava a 3,5 miliardi di USD
6– Compreso il traffico di droga, in particolare il Captagon, che produce perdita di giudizio, resistenza alla fatica, euforia e abbandono di ogni inibizione; dà da un senso di onnipotenza che fa sentire invincibili; sotto il suo effetto può non mangiare o dormire per giorni.
7– Hezbollah’s Business Affairs Component
8– secondo al mondo per dimensione in relazione al Pil ed i cui asset valevano il 420% del Pil
9– Tenuto conto che il Libano è inserito nella Tabella di Hanke Krus relativa alla iperinflazione, l’unica opzione fattibile è data dall’istituzione di un comitato valutario o Currency Board, che emette valuta convertibili su richiesta in una valuta di ancoraggio estera a un cambio fisso. Il Board non avrebbe poteri monetari discrezionali e non potrebbe emettere credito avendo solo una politica di cambio ma non monetaria. Il più importante Board valutario moderno è quello di Hong Kong, installato nel 1983 per combattere l’instabilità dei tassi di cambio.
10– ministro degli Esteri francese
11– ex ambasciatore del Libano presso le Nazioni Unite e ora giudice della Corte internazionale di giustizia
12– Movimento patriottico libero
13– Movimento Futuro
14– Hezbollah e i suoi due principali alleati – il Movimento Amal e il FPM
15– prende il nome dal legale russo Sergei Magnitsky, che nel 2007-2008 denunciò una frode fiscale nel suo Paese che coinvolgeva funzionari di polizia, magistrati, ispettori del fisco, banchieri e organizzazioni di stampo mafioso. In seguito alle sue denunce, fu arrestato e, dopo undici mesi di detenzione e senza processo, morì nel 2009 a 37 anni. L’americano W.Browder, suo assistito, lanciò una campagna affinché venissero imposte sanzioni nei confronti dei funzionari coinvolti, finalizzate ad impedire la loro entrata negli USA. Nel 2012 il Congresso approvò il Magnitsky Act, che prevedeva sanzioni individuali, in particolare il congelamento dei beni ed il rifiuto del rilascio del visto d’entrata negli USA.
16– Oltre alla Francia, gli USA hanno discusso dell’aumento delle sovvenzioni per le forze armate libanesi per circa 120 mln di USD, che si aggiungono agli elicotteri d’attacco, ai missili Hellfire ed ai missili controcarro TOW. In un recente incontro virtuale ha presenziato anche l’Italia. Lo scopo rimane quello di garantire logistica ed efficienza, ma senza partecipare alle retribuzioni dei militari.