Scosse di assestamento. Di Alberto Benzoni

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(Roma, 29 giugno 2021).
EGITTO
Sette anni fa, in occasione della penultima guerra di Gaza, al Sisi, chiuse le frontiere con la striscia. Non elevò alcuna protesta. E si chiamò fuori da qualsiasi impegno per la ricostruzione. Allora, per il Cairo, Hamas era un nemico. Il volto esterno dei fratelli musulmani.
Oggi, siamo al grande amore.  Formalizzazione dei rapporti di intelligence con Hamas, con il consenso israeliano. Pressioni su Gerusalemme per il cessate il fuoco. Ruolo di primo piano nel negoziato in corso per arrivare ad una tregua permanente. Offerte per 400 milioni di dollari per la ricostruzione. Manifestazioni pubbliche di simpatia.
Amore, solo amore ? Se fosse così, dovremmo preoccuparci. Ma per nostra fortuna, si tratta, di un matrimonio d’interesse; soprattutto per il  Cairo. Che, così facendo: torna ad essere il mediatore/interlocutore di prima istanza tra israeliani e palestinesi; assume il ruolo di difensore degli interessi dell’Islam sunnita nei confronti delle velleità “ottomaniste”di Ankara; recupera un rapporto, da tempo deteriorato, con gli Stati uniti; e, soprattutto, si assicura un alleato indispensabile nella guerra dimenticata contro l’Isis in Sinai. Anzi due.
IRAN
In un tempo lontano, diciamo  fino a sei mesi fa, la vittoria di un ultraconservatore nelle elezioni presidenziali  sarebbe stata considerata come un evento scatenante di un nuovo possibile conflitto. In base alla convinzione granitica, secondo la quale un governo considerato malvagio al suo interno dovesse essere oltre che malvagio anche stupido nei suoi rapporti internazionali.
Ma oggi questo dogma è caduto. Così da portare il Dipartimento di Stato a considera l’evento irrilevante se non addirittura propizio per il successo del negoziato sul nucleare. Una valutazione basata su di una serie di dati convergenti : dalle aperture esplicite di esponenti del regime e, soprattutto, totale mancanza di qualsiasi reazione ai continui attacchi subiti ; assassinio di Suleimani e del fisico nucleare, impianti nucleari, basi in  Siria. Un atteggiamento di passività, frutto della debolezza del regime e delle condizioni cui è ridotta la sua popolazione; e quindi dell’assoluto bisogno di porre fine al regime delle sanzioni.  Oggi si frappongono alla conclusione del negoziato ostacoli formali. Suscettibili, però, di essere superati nell’ambito di  un’intesa più generale. Intesa verso la quale spingono sia l’Arabia Saudita che Israele e che sarebbe gradita sia a Washington che a Teheran.
ISIS
Solo qualche tempo fa, Trump sosteneva che l’Isis non rappresentasse più un pericolo. Oggi, un summit di ben 80 paese si è riunito per affrontarlo. Segno che esiste e come. Magari non negli Stati uniti. E nemmeno in Europa. Ma certamente in Africa, dal Sahel ai paesi rivieraschi del golfo di Guinea, dalla Somalia al Mozambico. E ancora e di nuovo in Afghanistan e nelle zone orientali della Siria. E soprattutto nella penisola del Sinai. Qui solo nel 2020, 137 attacchi mirati, con centri abitati rasi al suolo, attentati suicidi, agguati contro militari egiziani, esecuzioni “esemplari”. Un vero bubbone che, da anni, l’Egitto si è rivelato del tutto incapace di estirpare. E con un armamentario sempre più perfezionato. Al punto di essere in grado, nell’immediato futuro, di colpire il Sud di Israele.
Per l’Egitto, per Hamas e per Israele, l’occasione per instaurare una nuova e proficua amicizia.
ISRAELE
Da Israele, nessun evento degno di nota. Una buona notizia tenendo conto del materiale infiammabile e dei molti piromani in giro. Ma anche un silenzio necessario per consentire alla classe dirigente israeliana di fare i conti con l’eredità di Netanyahu. E in cui il pericolo che minaccia lo stato di Israele non è più percepito come proveniente da un nemico esterno ma come il frutto delle sue tensioni interne. “Salvare Israele”. Ma salvare Israele da sé stesso. Dai contrasti drammatici all’interno della società ebraica; ma anche dal venir meno della coesistenza pacifica con la sua minoranza araba.
Una riflessione in pieno svolgimento. Come dimostra, al di là di ogni ragionevole dubbio, l’ultimo numero di Limes dedicato alla Questione israeliana.
SIRIA (E LIBANO)
Ci sono, in politica, due tipi di stallo. Quello in cui le parti (o una di esse) non hanno la forza per cambiare la situazione esistente. O quello in cui nessuna delle parti ha interesse a farlo… Il primo caso è, ahimè, quello del Libano (ci torneremo). Il secondo è quello della Siria.
Idlib: da centrale qaedista a succursale economica e politica turca. I curdi, sconnessi da un Pkk in ritirata e quindi non più sotto pressione. Nelle zone controllate dal potere centrale, la tenuta di elezioni: indice, se non di democrazia, almeno di rassegnazione. E, infine, nelle zone calde del sudovest ( come nel sud del Libano) un insieme di presenze e di intese con le popolazioni locali, suscettibili di condurre alla neutralizzazione pacifica di qualsiasi malintenzionato.
TURCHIA
Qui il vulcano della retorica, due o tre mesi fa, stava per esplodere, soprattutto dopo  l’atteggiamento provocatorio assunto in occasione dell’ultima guerra di Gaza. E Ankara stava per superare Teheran come Nemico pubblico numero uno.
Poi qualcuno ha fatto osservare che di crociate non era proprio il caso di parlare.
Perché la Turchia era superarmata. Al punto di essere il miglior produttore e possessore di droni in giro per il mondo.
Perché il suo esercito era il secondo esercito della Nato. E i suoi servizi in opera un po’ dappertutto.
Perché la sua presenza militare in Libia non era abusiva ma frutto di un accordo formale.
E infine perchè, a differenza dai paesi ricattatori e colabrodo del Nordafrica, la Turchia era in grado di gestire la massa di aspiranti profughi di passaggio nel suo paese, così da tenerli lontani dalle nostre frontiere. E, anche dai nostri occhi.
E allora, come ha detto bene Draghi, Erdogano sarà anche un dittatore. Ma anche un dittatore frequentabile, anzi da frequentare.
LO ZIO SAM E I POPOLI
Nel giro di pochi anni, il Medio Oriente è dunque passato dalla guerra di tutti contro tutti ad un armistizio .
E dopo ? E dopo c’è la pace. Ma, per arrivarci, manca ancora un ingrediente essenziale. Il danaro. Quello che sarà anche lo sterco del diavolo ma che è, perciò stesso, un indispensabile fertilizzante.
Piani Marshall ? Benissimo. Ma, per l’intanto, pochi, maledetti e subito.
Soldi. Aiuti. Aiuti a fondo perduto ai popoli: palestinesi, libanesi, siriani, iraniani, risarcimento dovuto per le tante e ingiuste sofferenze patite. Origine, e soprattutto, destinazione controllata.
E qui siamo ancora al carissimo amico. Ma qualche motivo di speranza c’è: anche perché, a spingere zio Sam in questa direzione, c’è anche papa Francesco…
Alberto Benzoni