Biden e il vecchio disordine mondiale

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(Roma, 27 giugno 2021). Proviamo ad immaginare il mondo nelle vesti di un signore che, dopo anni di vita felice e spensierata , si trovi di fronte ad una serie di disturbi psicofisici di cui non  riesce a percepire la causa e, quindi, a trovare la cura.
Per prima cosa, questo signore si rivolgerà ai luminari della scienza. Ma questi non faranno che applicargli cure tradizionali che lo debiliteranno ulteriormente, sino a danneggiare le su stesse difese immunitarie.
Dopo, sono arrivati gli stregoni e i paladini di misteriose cure alternative; spesso invasive. Fino a determinare nel nostro paziente visioni allucinate, nelle quali compaiono nemici di ogni genere, scritte sui muri, untori e persino una razza che si riteneva estinta, il russo sotto il letto.
Ma è a questo punto che torna sulla scena, guarito dal morbo che era stato il primo a contrarre e a propagare, un medico di famiglia che è anche guaritore di ultima istanza. Parliamo, fuor di metafora, degli Stati Uniti, versione Biden. Con il nuovo presidente ad annunciare a tutti l’Evento; con il relativo uso delle trombe.
E, dunque, “America is back”. Ma con quali intenzioni ? Per condurci in quali direzioni ? E con quali sembianze ? Quelle del Profeta di nuove crociate ? O del rassicurante e saggio medico di famiglia ?
A favore della prima ipotesi il passato. Quello di un partito che dal dopoguerra a oggi è stato il luogo deputato dell’interventismo democratico, leggi dell’uso della violenza in nome non dei propri interessi ma dei propri principi con l’annessa divisione del mondo in buoni e cattivi. Un approccio frenato, sino alla fine del secolo scorso, dal sano pragmatismo del partito repubblicano (per inciso, fu Nixon ad aprire il dialogo con la Cina di Mao, fresco protagonista della grande mattanza chiamata rivoluzione culturale; mentre oggi i vedovi di Trump stanno gridando al cedimento e all’abbandono al minimo stormir di fronda). Quello del complesso militare/industriale. E, infine, quello rappresentato dall’annuncio “urbi et orbi” della costruzione di una grande coalizione delle democrazie destinata a fronteggiare la minaccia rappresentata  dai regimi autoritari (in primis Russia e Cina. Un annuncio cui i media italiani (in questo, eredi di secoli di calcolato servilismo nei confronti dei potenti di turno) fanno finta di credere; ma che è immediatamente ridimensionato, a scanso di equivoci.
Nuove guerre ? Manco a parlarne; escluse in linea di principio. E, per chi pensasse (come pensava Netanyahu e, solo per un attimo, bin Salman) di partire, lancia in resta, contro l’Iran, con il tacito consenso di Washington, ecco l’avvertimento ben chiaro”non daremo nessun assegno in bianco ad iniziative contrarie ai nostri interessi”. Avvertimento subito recepito da chi di dovere. Così il regime saudita si affretta a ristabilire i rapporti con Teheran; e chiede di poter partecipare alla trattativa sul nucleare. Così il nuovo governo israeliano, pur critico verso la trattativa stessa e scettico sui suoi risultati, si guarderà bene dal sabotarla.
E, ancora, niente guerre fredde. A dircelo, ancora una volta  in modo esplicito, è la nuova amministrazione. Ed è anche questo il messaggio che viene dalle riunioni del G7 e della Nato. E che si potrebbe riassumere nel “ma anche”caro a Veltroni. Schematizzando al massimo:”Russia e Cina (come Turchia o Iran)  rappresentano modelli di governo opposti, anzi antagonistici rispetto ai nostri; ma sono anche grandi potenze con cui  devi dialogare tenendo conto dei loro interessi e dei loro punti di vista”.
Una presa d’atto della realtà delle cose del più elementare buonsenso. Ma anche il punto di partenza di un percorso tutt’altro che facile e irto di pericoli. Il maggiore tra i quali è quello di essere fraintesi dalla nostra controparte: sia perché questa ritiene  “tigri di carta”le nostre minacce sia perché considera ingannevoli le nostre promesse.
In questo quadro la “ricostruzione su basi certe e prevedibili” (per citare, ancora, una volta, le parole della nuova amministrazione) dei rapporti con Mosca rappresentava il primo e fondamentale banco di prova. Superato, almeno ad avviso di chi scrive, a pieni voti. E con il concorso decisivo di Putin.
Il grande merito di merito di Biden è stato quello di aver capito che questo concorso ci sarebbe stato.  Nonostante il Russiagate. E nonostante il fatto che la russofobia, coltivata con particolare intensità dai democratici, sia stata l’unico credo unificante di due forze politiche radicalmente contrapposte su tutto il resto.
Nel loro primo incontro i due presidenti hanno avuto parole di apprezzamento reciproco. Un salto di qualità per Biden che, appena qualche settimana prima, aveva chiamato “killer”il suo interlocutore. Ma, ciò che più conta, una assoluta novità nel caso di Putin. Perché non era mai accaduto (con l’eccezione di Eltsin; ma è un’eccezione che conferma la regola…) che un leader, russo o sovietico che fosse, esprimesse il suo apprezzamento per un presidente democratico, confessando, nel contempo, di avere sbagliato nel sostenere Trump.
Non è un abbraccio dimostrativo. E’ il primo esercizio del “capire chi hai di fronte”. E, ed è questo il dato assolutamente fondamentale, non è la premessa per la risoluzione dei problemi ma la consapevolezza del fatto che, se prima non si abbassano i toni e i livelli di tensione, svelenando il clima generale, non ci sarà alcuna possibilità non dico di risolverli ma di affrontarli in  modo corretto.
E qui torna per l’ultima volta, ma per rimanere impressa nelle nostre menti, la metafora del medico di famiglia. Che, per non correre il rischio di sbagliare., prescrive al suo paziente riposo, antibiotici e cure disintossicanti. Dopo, si vedrà.
E’ la stessa ricetta applicata in Medio oriente. Con la ripresa del dialogo con la Turchia. Favorendo in ogni modo la nascita del nuovo governo israeliano. E, infine, puntando ad un accordo in tempi brevi con l’Iran nonostante la recentissima elezione di un presidente ultra conservatore. Anzi, proprio per questa ragione.
Ciò  significa che si può, anzi si deve trattare con uno stato,  per raggiungere accordi di reciproco interesse; prescindendo dalla natura del suo regime interno. Il salto di qualità necessario per intraprendere un nuovo corso di cui discuteremo insieme nella prossima nota difficoltà e prospettive.
Alberto Benzoni.